Ferrari torna alla 23 Ore di Le mans dopo 50 anni - Ruoteclassiche
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04/06/2023 | di Redazione Ruoteclassiche
Ferrari e Le Mans, che coppia
Dopo cinquant’anni la Ferrari torna a Le Mans nell’edizione del centenario. In pista, l’hypercar 499P. L’ambizione è conquistare il podio. Era il 1949, dopo i dieci anni di stop causa guerra, quando la Casa di Maranello esordì nella maratona francese. E vinse con la 166 MM Touring di Chinetti-Lord Selsdon. In tutto ha trionfato nove volte. Oggi si riparte. Ma prima vi raccontiamo la storia di un’accoppiata perfetta, Le Mans e Ferrari
04/06/2023 | di Redazione Ruoteclassiche

Nove vittorie: 1949, 1954 e dal 1960 al 1965, ininterrottamente. Ultima partecipazione nel 1973. Le sfide epocali, prima con la Ford e poi con la Porsche. E una frase del Commendatore: “Vale più una vittoria nella 24 Ore di Le Mans che il campionato del mondo Marche”. Le storie, i piloti (dal primo, Luigi Chinetti), le curiosità, le automobili, i rimpianti e le grandi conquiste.

La guerra è finita. È il 1948. Parigi ribolle. La guerra è finita. E la notte insegue le note di Duke Ellington che alla Salle Pleyel sta suonando il suo concerto. Il jazz è gioia. È febbre. È la città di Juliette Greco e di Boris Vian che si infiamma. A Saint-Germain-des-Prés come nel Quartiere Latino. Dalla capitale alla campagna francese. Stessa euforia. Si prepara il ritorno. È il 25 giugno 1949, un sabato. Torna la 24 Ore di Le Mans, dieci anni dopo l’ultima disputata. Dopo una guerra e milioni di morti, dopo che è tornata la voglia di ridere e di correre. Gli ottoni dell’orchestra del Duca che intona "Take the 'A' Train" come i motori che si riaccendono per non spegnersi più. Perché Le Mans era quel tipo di gara, infinita, che apparteneva a un automobilismo già moderno pur rimanendo eroico. E quella è stata la prima 24 Ore di Le Mans disputata da una Ferrari ed è stata anche la prima vinta da Maranello, grazie a un uomo piccolo di statura eppure un gigante, Luigi Chinetti, che quella volta guidò per 23 ore abbondanti e portò al successo la barchetta 166 MM due litri. Non fu solo una delle tante prodezze della sua vita, come quel successo per la Ferrari non fu altro che il primo di una lunga serie che l’ha resa un simbolo. Un simbolo, tra gli altri, anche di questo correre indemoniato per un giorno intero all’ombra dei castelli della Loira. La più famosa gara di durata automobilistica del mondo, la gara che tutti i piloti odiano, ma vorrebbero correre almeno una volta nella loro vita.

Storia gloriosa. Bisogna tornare al 1949 per riprendere il filo del discorso tra la Ferrari e la maratona de La Sarthe. Nel 2023 il Cavallino torna a rampare anche a Le Mans, avendo aderito al nuovo regolamento hypercar. Sarà una storia tutta da scrivere. Quella passata, intanto, è gloriosa più che mai, e comincia proprio con quest’uomo, Chinetti, che tanta parte ha avuto nella fortuna della Ferrari. Disse di lui Girolamo Gardini, responsabile commerciale della Ferrari negli anni eroici: “Senza Chinetti non so quanti anni avremmo atteso prima di costruire automobili da vendere al pubblico”. Dopo quella vittoria, a Le Mans nel ’49, il Drake lo definì, poco elegantemente, come talvolta gli capitava, “il veloce dromedario delle corse interminabili”. Luigi, natali milanesi, trascorsi importanti in Alfa Romeo, a Le Mans ha corso dodici volte, vincendo tre edizioni (1932 con Sommer, ’34 con Étancelin, ’49 con lord Selsdon) e arrivando una volta secondo, nel 1934, dietro Nuvolari. Questo come pilota. Perché con la sua Nart, acronimo di North American Racing Team, ha fatto altro ancora, a Le Mans, con la Ferrari. Nel 1960 offre una 250 TR59 a Ricardo Rodríguez, da dividere con André Pilette: secondi. L’anno dopo, con una Testa Rossa edizione 61, Ricardo corre col fratello Pedro e alle due del mattino, quando l’auto si rompe, sono terzi. “Io li chiamavo i mariachi”, raccontava Chinetti. “Volevo farli entrare alla Scuderia Ferrari, ma Enzo diceva che spaccavano le macchine. Non era vero. Per esempio non hanno mai bruciato una frizione: non la usavano mai. Ma non hanno mai neppure rotto un cambio: cambiavano a orecchio, senza grattare. Erano differenti: Pedro era per le corse dure, Ricardo era un velocista. Ma erano entrambi dei talenti pazzeschi. Ho assistito a numeri dei Rodriguez che non ho visto fare a Varzi né a Campari. Se fossero sopravvissuti, sarebbero stati i Guy Moll della loro epoca. Erano abituati a dare tutto, quando erano in macchina. Ed erano simpaticissimi”.

L’importanza delle corse di durata. Nel 1965, Chinetti iscrive una Ferrari 250 LM per Masten Gregory e Jochen Rindt: vincono, consumando un totale di 166 pneumatici. “Ferrari sosteneva che le corse di durata, Le Mans per esempio, non gli interessavano”, spiegava Luigi Chinetti. “Diceva che erano noiose e non servivano a niente. Ma lui si fece conoscere proprio grazie alle corse di durata. E all’inizio sono stato io a farle, quelle corse di durata con le Ferrari, a spese mie. Dopo avere vinto a Le Mans, nel ’49, gli comunico che voglio correre la 24 Ore di Spa: avrei mandato la macchina a Modena per revisionarla e poi sarei andato in Belgio. Ma lui disse di no, che la macchina non era adatta per correre in Belgio, che si sarebbe rotta. Meglio che l’avessi data dentro e ne avessi comprata un’altra. In più mi fece pagare 287 dollari per la preparazione speciale della macchina per Le Mans. Ma come? Io l’avevo comprata proprio per correre a Le Mans, la preparazione speciale non doveva essere incusa? Così non mandai la macchina a Maranello, perché sapevo che non me l’avrebbe più ridata, anche se era mia”. Andò in Belgio, di tasca sua, con la stessa auto usata a Le Mans, e vinse, in coppia con Jean Lucas, regalando alla Ferrari il primo successo anche in quest’altra classica di durata. Naturalmente, nel frattempo il Commendatore aveva capito che le corse-maratona servivano, eccome. Arrivò a dire: “Vale più una vittoria nella 24 Ore di Le Mans che il campionato del mondo Marche”. Vi partecipò assiduamente, e vinse. Tanto. Nel ’54 con Gonzalez e Trintignant (375 Plus), nel ’58 con Gendebien e Phil Hill (250 TR58), dal ’60 al ’65 ininterrottamente con Gendebien-Frère (1960, 250 TR59/60), Gendebien-Hill (1961, 250 TRI/61; 1962, 330 TRI/LM), Scarfiotti-Bandini (1963, 250 P), Guichet-Vaccarella (1964, 275 P), Rindt-Gregory (1965, 250 LM).

Le vittorie. Questa è l’ultima vittoria delle Rosse a Le Mans. E curiosamente, sia la prima sia l’ultima sono da ascrivere a Chinetti. Nove vittorie: fino al 1984, nessun costruttore è riuscito a fare meglio di Maranello. Quell’anno, la Porsche vinse per la nona volta (la prima fu nel 1970): oggi è la Casa con il maggior numero di successi a Le Mans (19), seguita dall’Audi (13). Ma il mito è, come in Formula 1, come sempre, la Ferrari. Che a Le Mans ha sostenuto battaglie epocali prima con la Ford e poi, appunto, con la Porsche. Nel mezzo, mille storie. Come quella di Hawthorn e Collins che nel ’58 si ritirano per la rottura della frizione, che poi invece, quando i meccanici andranno a prendere l’auto, risulterà funzionante. Mike e Peter non avevano voglia di correre a Le Mans, perché era una gara lunga, faticosa, molto pericolosa e anche noiosa. “Ho corso tutte le mie 24 Ore come se guidassi un taxi tra altri taxi”, chiosava sull’argomento Chinetti. Tutti i piloti, però, volevano e vorrebbero disputarla almeno una volta, nella vita. “Perché per un pilota Le Mans è qualcosa di straordinario: molto pericoloso, ma anche molto affascinante”: parola di Henri Pescarolo, che ha vinto quattro volte la corsa tra il 1972 e l’84.

Il rimpianto. Un’altra volta, nel ’67, la stanchezza impedì a Scarfiotti e Parkes una rimonta cinematografica sulla Ford GT40 di Gurney e Foyt: arrivarono secondi per quattro giri. Nel 1971 sul gradino più basso del podio salirono Sam Posey e Tony Adamowicz con una 512 M della Nart. Ma, soprattutto, quell’anno si classificarono quinti assoluti Bob Grossman in coppia con Luigi Chinetti Junior, il figlio, al volante della 365 GTB/4 Daytona Competizione, una versione voluta da Chinetti e che, sull’onda di quel risultato, venne prodotta in 15 esemplari tra il ’71 e il ’73. Un’auto talmente brillante da conquistare per tre edizioni di seguito (1972-’75) la vittoria di classe, con l’exploit del 1972, in cui occuparono i primi cinque posti della loro classe e dal quinto al nono posto assoluto. Risale proprio al 1972 il grande rimpianto: la mancata partecipazione della 312 PB a Le Mans. Il prototipo di Maranello montava il motore tre litri 12 cilindri boxer derivato dalla F. 1 ed era ottimizzato sulle gare di mille chilometri. Si preferì non rischiare. Peccato, perché quell’anno la 312 PB vinse tutte le gare cui partecipò, oltre al neonato Campionato del mondo Sport Prototipo riservato a vetture di 3 litri di cilindrata al massimo. Sarà l’ultimo titolo iridato vinto dalle Sport Ferrari fino al 1995, quando, grazie alla 333 SP, il Cavallino porta a casa il campionato Imsa. L’ultima 24 Ore di Le Mans disputata ufficialmente dalla Ferrari è l’edizione 1973, con la 312 PB, che però si conferma poco adatta alle lunghe distanze: Arturo Merzario e Carlos Pace conducono al traguardo l’unica delle tre 312P partite e arrivano secondi. Un ottimo risultato, ma che non rende merito a una storia di incredibile successo. Da allora, solo scampoli di gloria, nella categoria Gran Turismo. Ma è anche giusto: se la Ferrari corre, corre per vincere. (Luca Delli Carri)

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