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Il sogno americano dell’ibrido

Più di mezzo secolo fa la General Motors si trovò pronta a lanciare una micro-car a propulsione ibrida. Ma il vento contrario ne bloccò la diffusione e tutto rimase come prima. Anzi, peggio, perché il traffico si moltiplicò e l’inquinamento urbano con esso. Ripercorriamo allora la sconosciuta avventura del “Progetto 512” e anche quella di una sua progenitrice ben più lontana: La Woods Dual Power del 1916. Cancellate dalla tempesta del disinteresse e dei grandi interessi economici.

L’invito a firma di Edward Cole, presidente della General Motors, era su cartoncino bianco, breve e convenzionale. Ma il tema della giornata “Il progresso dell’energia“ incuriosiva i giornalisti, ospiti del celebre centro di ricerca a Warren, Michigan, in una giornata di primavera del 1969. Da due anni una nuova legge, l’Air quality act, consentiva al Governo di effettuare ogni tipo di studi sulle emissioni e imporre restrizioni alla circolazione. In California, e in qualche altra metropoli, gli ingorghi di traffico erano già un problema. Ma la benzina costava ancora talmente poco (8 centesimi al litro) –  e la nuova rete autostradale era talmente invitante – che immaginare rivoluzioni nel mondo dell’auto riusciva, francamente, difficile. Con questi occhi, e a due mesi dallo sbarco sulla Luna – che invece sembrava aprire grandi orizzonti – la stampa guardò correre nei piazzali della GM una delle prime ibride dell’era moderna. Una “mini-mini car” – così fu battezzata – per piccoli spostamenti urbani.

 

Più che un’auto, un giocattolo. Eppure, sia pur liofilizzata in dimensioni ridicole (come furono un po’ i commenti) dentro c’era l’idea di un motore a combustione interna accoppiato a uno elettrico, il primo per le basse velocità, l’altro per la distanza e la ricarica. A discapito del suo look da campo da golf, il progetto 512 fu la cosa più seria che sfilò davanti ai giornalisti alla GM. Si videro auto a vapore, a turbina, a cellule di combustibile (che triplicavano da sole il peso del veicolo), persino ipotesi di propulsione nucleare. Tutte irrazionali, o fuori tempo o inattuabili. Non la 512 ibrida, che con i suoi 200cc. a benzina abbinati al piccolo rotore, poteva viaggiare per 230 chilometri, a 50 all’ora. Il tutto producibile subito, a un prezzo possibile.  Era – se solo si fosse voluto guardare – la progenitrice della Opel Ampera di casa GM e di ciò che solo negli ultimi anni si sta faticosamente facendo spazio. In molti, a posteriori, si chiedono perché la ricerca americana (ma non solo) non abbia “voluto guardare” seriamente al problema. E la 512 sia finita in un museo invece che nel garage di casa. Proprio mentre i rischi della dipendenza dal petrolio, del degrado ambientale e del traffico stavano diventando chiari.

L’ibrido di cent’anni fa. Facciamo ora un salto ancora più indietro nel tempo e prendiamo in mano un dépliant della ibrida “Woods Dual Power”. Che non è affatto una vettura giocattolo, ma può ospitare cinque persone, in una carrozzeria spaziosa, “lanciata” a 50 km/h (la stessa della piccola 512) e dotata persino di un freno rigenerativo. Niente male per essere nel 1916!  La Woods di Chicago era un marchio molto serio che vendette 13.500 veicoli elettrici tra il 1899 e il 1918. La sua Dual Power era, insieme alle Detroit Electric, alle Studabaker e alle Owen Magnetic tra le vetture più avanzate del tempo. Un tempo in cui benzina, vapore e elettricità erano ancora tre alternative plausibili.Le caratteristiche colpiscono: velocità superiore del 40% alle vetture elettriche (anche se sempre inferiore a quelle a scoppio), cambio continuo, frizione elettromagnetica, possibilità di accoppiare le due trazioni in salita. Ma, soprattutto, autonomia svincolata dai punti fissi, grazie a un generatore sovradimensionato e all’uso combinato dei due motori. Perché allora la Dual Power è stata l’ultima auto costruita dalla Woods e ha visto, insieme alle concorrenti, il trionfo del motore a scoppio?

Pragmatismo americano. Sulle ragioni macroeconomiche, di alleanza tra industria, petrolieri e politica, si è detto quasi tutto.  Vero è che nel panorama americano dopo la Grande Guerra (più ancora che in quello europeo) con le grandi distanze, l’assenza di strade e una rete elettrica limitata, una vettura a batterie o ibrida avrebbe dovuto funzionare davvero bene per convincere i suoi acquirenti. Un sistema propulsore più semplice, potente, con un combustibile facile da reperire, appariva la soluzione più pratica. E poi c’era l’eterno problema dei costi – che solo a cento anni di distanza sta, forse, avviandosi a una soluzione. La Woods costava quattro volte più di una Ford T. E questo, più di ogni altra considerazione, le staccò la spina.

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