Trascorrere cinque minuti sulla Lancia Stratos con Miki Biasion al volante è un’esperienza da fare una volta nella vita. Anzi no, più e più volte. Chiacchierare con lui è altrettanto piacevole: lo abbiamo incontrato a San Marino durante il Rallylegend 2020.
Massimo Biasion, per tutti Miki, si presenta al Rallylegend di San Marino in forma e rilassato. È affabile, sorridente e porta con disinvoltura i suoi 62 anni. Okay, è svincolato dallo stress della competizione, ma dà subito l’idea di uno con il quale potresti parlare di tutto, al di fuori dei rally. Non è scontato, per un pilota che ha passato la sua vita correndo e setacciando i percorsi per settimane, mesi, anni. Pochi sanno che, prima di vincere due Campionati del mondo di Rally (1988 e ’89 su Lancia Delta Integrale) e sfiorarne un terzo (1988, Delta HF 4WD), l’asso di Bassano del Grappa è un architetto mancato. Prima di dedicarsi anima, corpo e trazione ai rally, ha frequentato per tre anni la facoltà di architettura all’Istituto Universitario di Architettura a Venezia. Al Rallylegend ha portato la sua Lancia Stratos griffata Sparco ed Eberhard, due dei marchi per i quali è brand ambassador. C’è il tempo di quattro chiacchiere, prima di entrare nel sedile di copilota per una rapida gita premio al suo fianco – per sapere com’è andata, leggete il report su Ruoteclassiche di novembre, fra pochi giorni in edicola.
Miki, di cosa ti occupi adesso?
Frequento gli eventi dei rally d’epoca come brand ambassador, appunto. A Codroipo ho un’officina, ItaliaMotorSport, che si occupa del restauro delle Lancia Delta Integrale stradali e da competizione. I due tecnici (i fratelli Ivan e Stefano Parussini, Ndr) seguono anche le auto dei clienti. In più organizzo un paio di eventi: “Amiki Miei”, che è un raduno di Lancia; e la fiera Rally Meeting sempre a Bassano. La prima edizione quest’anno si è tenuta il 22 e 23 febbraio, per fortuna poco prima del lockdown. Si replicherà nel 2021 sempre a febbraio.
Qual è la storia della Stratos che hai portato al Rallylegend?
È un po’ particolare. È partita da una scocca originale in acciaio del 1975 che la Lancia aveva in un magazzino di ricambi. Io l’ho comprata negli anni Ottanta, in tempi in cui le Stratos erano cadute nel dimenticatoio e venivano quasi regalate. L’ho messa da parte per diversi anni finché sono tornate di moda, così ho tirato fuori la scocca con i documenti. Per la ricostruzione con materiali moderni e gli aggiornamenti di sicurezza richiesti oggi, mi sono affidato alla K-Sport. Oggi questa Stratos partecipa al Campionato italiano dei rally storici.
Tu sei un uomo Delta, come ti ci trovi?
La Stratos ha sempre corso nei miei sogni di ragazzino, con Munari e Pinto mi ha fatto innamorare dei rally. È eccezionale, indubbiamente somiglia di più alla 037 che alla Delta. Concettualmente è più simile, con il motore posteriore centrale, molta trazione e leggera davanti. Bisogna guidarla molto di rilascio cercando di sfruttare al massimo l’uscita di curva, per non far pattinare le ruote. È più da traiettoria che da spettacolo, soprattutto sui tracciati tutto asfalto come quelli del Rallylegend.
La tua frase marchio di fabbrica è: "La cosa più bella che può fare un uomo vestito è guidare di traverso...".
Sì, la dico sempre, ma la Stratos richiede una guida più pulita. La larghezza degli pneumatici posteriori è enorme. Con tanta differenza fra anteriore e posteriore, non è che permetta chissà quali derapate. Però questa signora dà ancora tanto gusto nel farti ascoltare il suono bellissimo del 6 cilindri, nella cambiata manuale vera.
Se fosse uno stile architettonico o di design, la Stratos cosa sarebbe?
Potrebbe essere un’evoluzione futuristica dell’Art Déco, mentre la Delta è più razionalista italiana. Certo, se pensi che le vetture di grande produzione negli anni della Stratos erano la Fiat 127 e 128, immagina che stupore poteva suscitare una Stratos al suo arrivo!
Oggi sarò tuo passeggero solo per pochi minuti. Invece che persona è Tiziano Siviero, che è stato tuo copilota per vent’anni, nella buona e nella cattiva sorte? Un tipo calmo?
Con lui c’è sempre stato un grande affiatamento. Ci siamo conosciuti da compagni di liceo a Bassano del Grappa e siamo diventati come fratelli, tant’è che l’ultima vacanza al mare l’ho passata da lui all’Isola d’Elba. C’era un feeling particolare, capiva subito quando avevo una brutta giornata e io potevo incazzarmi quando il ritmo delle note non era quello che volevo, o la nota era sbagliata. La cosa positiva tra noi due è che, anche quando volavano le parolacce, una volta scesi dalla macchina si tornava come prima.
Con quali altri grandi piloti della tua epoca sei rimasto in contatto?
Una volta il Mondiale si correva su nove, dieci gare. Noi piloti trascorrevamo trecento giorni all’anno in giro per il mondo, negli stessi aerei, hotel, persino ristoranti. Facevamo settimane di ricognizioni, con la possibilità di provare molto di più sugli stessi percorsi. Insomma, eravamo un circo che si trasferiva da un Paese all’altro. Ecco perché si legava molto, non solo fra compagni di squadra. Sento ogni mese Juha Kankkunen, Markku Alen, Carlo Sainz, Didier Auriol, François Delecour. Quando c’è un evento, ci mettiamo d’accordo per arrivare un giorno prima e andare a cena tutti insieme.
Quanto ti diverti a terrorizzare i giornalisti che porti sulla Stratos?
Dipende… Di solito salgono con la paura e scendono col sorriso. Generalmente quando uno è al lato destro di un professionista, capisce che fa cose incredibili, con sicurezza. Manovre studiate, eseguite per decine d’anni. Quanto spingo rispetto a quando correvo? Direi il settanta, ottanta per cento, dipende anche dalla macchina. Quando hai vetture storiche o importanti, l’unica paura è quella di rompere.