Lancia Thesis: il Rinascimento che non c’è stato - Ruoteclassiche
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17/03/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla
Lancia Thesis: il Rinascimento che non c’è stato
I 20 anni della Lancia Thesis, un'ammiraglia affascinante rimasta incompresa.
17/03/2021 | di Giancarlo Gnepo Kla

Nel marzo del 2001, Lancia presentava l’ammiraglia del Terzo Millennio: la Thesis. Un progetto così impegnativo non si era mai visto, la Thesis avrebbe rappresentato la punta di diamante dell’engineering italiano, una vetrina per le tecnologie più avanzate del momento, vestite con un abito di alta sartoria che celebrava i fasti delle grandi Lancia del ‘900. I costi elevati e diversi ripensamenti affossarono questa grande berlina, che risentì anche di uno stile rétro e un approccio poco deciso nell’ambito commerciale. Un classico di domani da salvare dall’oblio.

L’uscita di scena della Lancia Thema nel 1994 fu un duro colpo per la platea di lancisti che non accettò mai la “K” come nuova ammiraglia: troppo poco personale e perciò resto al palo, sebbene tecnicamente fosse anni luce avanti alla Thema, icona assoluta dei gaudenti anni 80.
Pensionata anche la Lancia K, urgeva quindi ripensare il concetto di ammiraglia per un rilancio in grande stile della Lancia. La nuova auto doveva essere la portabandiera dei più elevati valori del marchio. La futura Thesis sarebbe stata una vettura elegante, innovativa e… italiana. Senza abbandonarci alla facile retorica populista, il concetto di italianità affonda le sue radici nella tradizione artistica del nostro Paese: è una questione di forme, superfici e soprattutto proporzioni auree pensate per appagare la vista.
La nuova berlina Lancia perpetuava l’epopea delle auto di grande prestigio che per quattro lustri, tra gli anni 50 e 70, hanno sfilato tra i palazzi del potere e le più nobili residenze d’Italia. Anche la Thesis ha portato a termine il suo ruolo istituzionale accompagnando le più alte cariche dello Stato nelle varianti Protecta (con vari livelli di blindature) e persino Limousine, l’esclusivissimo modello passo lungo sviluppato dalla Stola.

La bolla salubre. Le radici della Lancia Thesis si ricollegano direttamente alla concept car “Dialogos” presentata nel 1998. La Dialogos venne sviluppata dal Centro Stile Lancia nella seconda metà degli anni 90, e segnò un importante cambio di rotta nell’approccio progettuale: un vero e proprio Rinascimento pensato come un percorso multidisciplinare tra l’area creativa e i vari reparti tecnici dell’allora Fiat Auto.
La Lancia Dialogos muoveva i primi passi nell’ambito della guida autonoma ed era già proiettata verso il concetto della mobilità connessa. Venne pensata per essere una “bolla salubre”, un’oasi di relax viaggiante
in cui i materiali, la climatizzazione e i toni cromatici avrebbero contribuito al benessere e al massimo comfort di bordo. Un progetto ambizioso che ha catapultato il gruppo Fiat nel vivo del 21° secolo.
La concorrenza non dormiva sugli allori e la nuova ammiraglia, attesa per il 2001, avrebbe dovuto raggiungere e superare le temibili berline tedesche, saldamente ai vertici della categoria.

Similitudini. Indicata con il codice “Tipo 841”, la Lancia Thesis debuttò al Salone di Ginevra nel marzo del 2001 e stupì con il suo corredo tecnologico e una linea fortemente rétro. Era l’erede spirituale della Lancia Aurelia, presentata mezzo secolo prima: stesso profilo barocco, stessa eleganza e stessa portata tecnologica.
Tuttavia, se nel 1950 per tecnologia si intendeva, essenzialmente, una meccanica raffinata, nel 2000 era l’elettronica a definire lo status quo delle vetture. La Thesis riprendeva lo schema tecnico della K, con sospensioni anteriori e posteriori Multilink ma portava al debutto una piattaforma inedita. Questa fu una delle ragioni per cui il progetto complessivo venne a costare una cifra spropositata, oltre 400 milioni di euro. Con un investimento iniziale che non venne mai compensato dalle vendite, nell’intero arco produttivo furono circa 16.000 le vetture prodotte, contro le già “sparute” 25.000 unità annue, previste nei sette anni di commercializzazione (dal 2002 al 2009).

La grande Lancia del 2000. La Lancia Thesis è stata foriera di una serie di innovazioni, a partire dalle sospensioni a controllo elettronico Skyhook. Sviluppate dalla Sachs, prevedevano ammortizzatori coordinati da una centralina capace di dosare la forza smorzante, per garantire il miglior comfort in base al tipo di fondo stradale e al carico presente a bordo.
La Thesis poteva contare poi sul Connect Nav+ un complesso sistema di infotainment (di serie sull’allestimento “Emblema” e sulle serie limitate) che integrava la navigazione satellitare, l’info traffico, il telefono e persino la televisione. Il tettuccio apribile (opzionale) non si limitava ad essere un occhio aperto sul cielo, ma celava i pannelli solari che, d’estate, potevano azionare la climatizzazione a vettura ferma, il tutto senza intaccare la carica della batteria. Anche la climatizzazione meriterebbe un discorso a sé, in quanto prevedeva la regolazione automatica differenziata su tre zone, ma soprattutto poteva contare su una microdiffusione dalla plancia che evitava i fastidiosi getti d’aria diretti.
Di altissimo livello anche il corredo per la sicurezza: otto, in totale, gli airbag, c’erano poi l’ABS, il TCS (controllo di trazione), l’ESP (controllo di stabilità) e l’EBD (ripartitore della potenza frenante), di serie su tutti i modelli così come i fari allo xeno.

Salotto all’italiana. Sono i dettagli e le piccole attenzioni che coccolano gli “illustri” passeggeri a rendere grande un’ammiraglia e, nel caso della Thesis tutto questo era condito da uno stile assolutamente peculiare.
Nell’abitacolo, l’ambiente raffinato era sottolineato dai poggiatesta a conchiglia, che impreziosivano gli ampi sedili. Questi, a seconda dell’allestimento, potevano essere sellati in pelle “Poltrona Frau”, Alcantara o nel rarissimo filato in lana che omaggiava il “Panno Lancia”.
L’idea della “bolla salubre” prefigurata dalla Dialogos trovò applicazione nello sviluppo dei sedili: lo stato dell'arte in termini di ergonomia. La loro progettazione avvenne sotto le preziose indicazioni del prof. Dal Monte, un fisiologo di fama internazionale. A richiesta, i sedili “Comfort” anteriori e posteriori, oltre alle regolazioni elettriche ampliate, offrivano poi delle funzionalità esclusive come il riscaldamento, la ventilazione e persino il massaggio. Inoltre, la vocazione istituzionale della Thesis era rimarcata dal comando che consentiva di spostare in avanti il sedile del passeggero anteriore dal divano posteriore.

Bloccata tra passato e futuro. Il primo scoglio contro il quale si infransero i sogni di gloria del modello era rappresentato dalla linea. Come sempre, quello delle grandi berline è un terreno infido, dove regna il conformismo e il “cognome” ha la ragione sullo stile. La Thesis finì per rimanere una outsider, come tutte le berline non tedesche.
I pareri restarono divisi, tra chi gridava al miracolo per avere riesumato le forme giunoniche dell’Aurelia e chi gridava allo scandalo per la stessa ragione: essere caduti nella “trappola” del manierismo.
Lancia, il cui buon nome era ormai sfiorito, finì per fare figura della nobile decaduta che millanta i fasti del tempo che fu. Nel pieno della Seconda Repubblica, l’aura aristocratica della Thesis era considerata fuori dal tempo: come il profumo delle rose appassite in mezzo ai profumi della grande distribuzione. Eppure, anche a livello stilistico, in mezzo ai più melensi richiami al passato, i designer del Centro Stile Lancia, riuscirono a inserire dei pregevolissimi dettagli d’avanguardia: a partire dall’iconica fanaleria posteriore a led, una delle primissime applicazioni su un’auto di serie.

Pentacilindriche. La Thesis risentì, inoltre, di una gamma di motorizzazioni limitata e poco appetibile, sia sul mercato italiano, dove le cilindrate oltre i due litri erano considerate “elevate” e sia su quello estero, dove le auto di grossa cilindrata potevano contare su unità decisamente più moderne ed efficienti in termini di consumi e di prestazioni. Apriva la gamma dei motori a benzina un 2.0 turbo cinque cilindri da 185 CV, lo stesso 20 valvole con testa in lega leggera montato sulla K ma rivisto per offrire un’elasticità di marcia ancora migliore. Come trasmissione, si poteva optare per il cambio manuale a sei marce o per il “Comfortronic” a cinque, prodotto dalla Aisin.
Vi era poi il 2.4 20 valvole aspirato, da 170 CV, un propulsore dalla filosofia meccanica diversa: si trattava innanzitutto di un motore aspirato, dotato di variatore di fase e collettori di aspirazione a geometria variabile. Questa motorizzazione equipaggiò pochissime vetture, in quanto, pur avendo una cilindrata maggiore, esprimeva una potenza e prestazioni inferiori rispetto al due litri turbo, caratterizzandosi essenzialmente per l’elevata souplesse di marcia.

Il vecchio leone. Al vertice dell’offerta a benzina, si collocava il 3.0 V6 “Busso”, storico motore di origine Alfa Romeo, disponibile nella variante depotenziata da 215 CV, accoppiata esclusivamente al cambio Comfortronic. A partire dal 2003, il 3.0 venne affiancato e poi sostituito dal più potente 3.2 V6 da 230 CV. Questo “vecchio leone”, per quanto glorioso, risentiva fortemente dell’età e anche il suo temperamento sportivo mal si sposava con l’indole formale e la massa, non indifferente, della Thesis. Guardando la scheda tecnica della Thesis 3.0 V6, si comprende facilmente perché. La coppia massima, 263 Nm era erogata a 5.000 giri/min, la potenza massima veniva raggiunta a 6300 giri/min. Valori degni di una granturismo di almeno vent’anni prima...La velocità massima era di 234 km/h, con un’accelerazione 0-100 in 9,2 secondi. Anche in questo caso le prestazioni rimanevano mediocri se confrontate con la concorrenza diretta.

Il 2.4 JTD. Nei primi anni duemila, gran parte delle berline di lusso europee viaggiava a gasolio, perciò anche la Thesis venne equipaggiata con il 2.4 JTD da 150 CV. Con un solo motore diesel, la Thesis aveva poco margine d’azione nella piazza più contesa del segmento E: le concorrenti tedesche offrivano almeno tre alternative a gasolio sullo stesso modello per allargare il ventaglio dell’offerta.
Il cinque cilindri diesel della Thesis 2.4 JTD era un’unità ampiamente collaudata (ed apprezzata) sulle Alfa Romeo 156, 166 e sulla Lancia Lybra. Un motore vivace e dal timbro caratteristico che, in prima analisi, venne accoppiato esclusivamente al cambio manuale, un ulteriore limitazione per la clientela di riferimento, che su un’ammiraglia a gasolio avrebbe gradito il comfort aggiuntivo di una trasmissione automatica. Si trattò dell’ennesima “disattenzione” di una strategia commerciale poco decisa, in cui a rimetterci fu la stessa Lancia Thesis.
Nel 2003, la variante “20 valvole” da 175 CV (185 CV dal 2006) sopperì a questa mancanza ma il cambio, il solito Aisin a controllo sequenziale, complicò le cose, aggiungendo così, anche la cattiva nomea alla messe di sventure che accompagnò la Lancia Thesis.

Un’esistenza tormentata. Gran parte delle noie che affliggevano la Thesis erano dovute al massiccio impiego di elettronica. Anche a certe ottusità progettuali ci misero del loro, portando ad un ritardo nella produzione, che finì inevitabilmente per essere affrontata con approssimazione. Le “canoniche” spilorcerie nella componentistica si tradussero in una serie di guasti che stroncarono la carriera della Thesis, precludendole ogni possibilità di emergere tra le berline di lusso.
Non c’era partita: le rivali, sebbene avessero problematiche simili, potevano contare su una rete vendita e assistenza estesa a livello mondiale, mentre Lancia era un marchio (di nicchia, peraltro) circoscritto al mercato europeo. A poco valsero le eleganti edizioni limitate, come la Bicolore, la Collezione Centenario (poi indicata come 100th Anniversario) e la Limited Edition: la Thesis non riuscì a spiccare il volo, concludendo il suo ciclo vita con meno di 16.000 vetture all’attivo.

Istant classic. Con queste prerogative, non c’è da meravigliarsi se queste vetture siano soggette a una pesantissima svalutazione e che molti esemplari siano finiti allo sfasciacarrozze, replicando la fine infausta della Lancia Gamma che vi abbiamo raccontato di recente.
Tuttavia, ciò che stupisce è constatare come all’estero, già da qualche anno, la Thesis abbia iniziato a popolare i garage di un numero crescente di collezionisti e simpatizzanti del marchio Lancia. Un segnale forte che anche gli appassionati nostrani dovrebbero cogliere al volo: la Lancia Thesis è già un classico.
L’acquisto di una Thesis richiede cifre a dir poco irrisorie, è il ripristino a spaventare molti potenziali acquirenti, ma con un po' di pazienza si possono trovare (ancora) esemplari interessanti e in buone condizioni, che varrebbe davvero la pena salvare dalla pressa. Nella nostra "Guida al Collezionismo Lancia", trovate anche alcuni consigli, qualora voleste acquistarne una.
A vent’anni dal suo debutto, i tempi sono maturi per riscoprire e riabilitare questa grande ammiraglia di Casa Lancia. L’ultima, fino a che i vertici del gruppo Stellantis non vorranno dare il proprio placet per la messa in produzione della sua attesissima erede.

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