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Le promesse della Maserati A6G 2000

Esattamente 70 anni fa, nel febbraio del 1951, fu consegnata la prima Maserati A6G 2000. La serie A6 caratterizzò la produzione della Casa modenese dal 1947 al 1956 e fu il biglietto d’entrata in un decennio che ne consacrò il successo internazionale.

A come Alfieri Maserati, il fondatore e pilota di vaglia scomparso nel 1932; 6 i cilindri in linea del motore da 2.000 cc; G per la ghisa, il materiale del basamento con cui era costruito. Nulla fu lasciato al caso nel disegnare e designare l’autotelaio della A6G 2000, che dal 1951 avrebbe permesso al Tridente di spostarsi dalla produzione sportiva pura, a quella più redditizia delle gran turismo. Quando le pallottole smisero di fischiare e fu il tempo di ricostruire i capannoni e i macchinari danneggiati dalla guerra, in Maserati ricominciarono a fare ciò che sapevano meglio: auto per correre con stile. Nel ’47 la produzione ripartì con la A6 1500, stilizzata da Pinin Farina con l’usuale, fluida eleganza. Nata per percorrere le martoriate strade del Dopoguerra, la coupé Maserati diventò rapidamente la scelta per i piloti privati, affamati di competizione. In quegli anni, il mercato delle gran turismo si sviluppava a mano a mano che l’economia italiana si risollevava dalle macerie e le fabbriche tornavano a produrre ricchezza. Fatalmente per pochi, facoltosi clienti.

Le Maserati avevano fretta. Se le Maserati facevano colpo, era per la loro promessa di velocità, da mantenere a botte di chilometri orari. Già nel 1949 a Modena erano stati allestiti due prototipi che anticipavano la serie A6 con motore 2000. Nell’ufficio esperienze di via Menotti valorizzarono la bontà dell’autotelaio A6 adottando una versione “civile” del motore due litri ad alte prestazioni della A6GCS da corsa. L’incremento della cilindrata rispetto alla A6 1500 fu reso possibile da un preciso lavoro sulla corsa e l’alesaggio del 6 cilindri in linea, aggiornato a 1954,3 cc. La potenza ottenuta era misurata tra i 90 e i 100 cavalli (51,16 cv/litro specifica), a seconda della messa a punto dei tre carburatore Weber 36D04, o del singolo Weber 40DCR. Anche se la velocità massima lambiva i 180 km/h, il Costruttore raccomandava ai clienti della A6G 2000 di non avventurarsi oltre i 160, 170.

Un po’ di nuovo, un po’ di artigianale. Le caratteristiche tecniche della nuova gran turismo rispondevano alla sportività del Tridente: quindi trazione posteriore, cambio a quattro rapporti più la retromarcia, frizione monodisco a secco. Il comparto sospensioni a ruote indipendenti prevedeva sull’asse anteriore una coppia di ammortizzatori idraulici Houdaille a molle elicoidali, al posteriore il ponte rigido con balestre. I freni a tamburo con comando idraulico e le ruote in lamiera, o a raggi, completavano l’autotelaio, pronto per essere vestito dai carrozzieri torinesi. Che si diedero subito da fare, ma con risultati non troppo soddisfacenti, almeno al debutto. Al Salone Internazionale dell’Automobile del 1950, Maserati presentò la A6G 2000 in due versioni:  una berlina a 2+2 posti e due porte, firmata da Pinin Farina; e una versione aperta disegnata da Pietro Frua, che sviluppò finoltre la metà degli anni Cinquanta con alterne fortune.

“Bella” non era abbastanza. Nel caso della coupé, l’elegante sobrietà che contrassegnava le creazioni di Pinin Farina non funzionò come ci si aspettava. Il prototipo della berlinetta aveva scarsa personalità, neppure Pinin Farina ne era soddisfatto e non ebbe alcun seguito produttivo. Anche perché il carrozziere torinese aveva già cominciato ad allestire una nuova versione, che debuttò al Salone di Parigi nell’ottobre del 1950. Stesso telaio in tubi, longheroni e traverse; stesso motore 6 cilindri 2 litri monoalbero, ma carrozzeria rivista per aggiungere alle potenzialità dinamiche un senso di lusso e opulenza. La profusione di elementi decorativi, con la calandra di grandi dimensioni, i vistosi paraurti cromati, le modanature a sveltire i fianchi e i gruppi luce posteriori facevano pensare a una vettura sportiva più da sfoggiare davanti al teatro, che da gettare nella mischia polverosa delle corse stradali. Il profilo nitido, l’armonia dei volumi e l’equilibro d’insieme, già individuati nel prototipo di Torino, ora lasciavano intravedere al pubblico più smaliziato un’altra coupé di Pinin Farina, la Lancia Aurelia B 20 presentata nella primavera dello stesso anno. Perché buttare via delle buone idee, se funzionavano bene?

Per pochi, anzi pochissimi. Nonostante gli argomenti portati dalla A6G 2000 fossero solidi, la gran turismo del Tridente non ebbe il successo atteso, per un insieme di cause che andavano al di là dell’estetica e della bontà del progetto. La Maserati cominciava a soffrire la concorrenza spietata di un vicino rampante, con il quale Pinin Farina instaurò una collaborazione duratura e che non prevedeva condivisione. Soprattutto a Modena. Dal canto suo, dopo il Salone di Torino, Frua espose la versione scoperta al Concorso di eleganza di Villa Borghese a Roma, per ingolosire la ricca clientela della Capitale. Nei mesi successivi, con i nuovi autotelai A6G 2000 a disposizione, Frua sfruttò il passo più lungo per ampliare l’abitacolo a 2+2 posti. Sulla passerella romana del 1951, il carrozziere torinese presentò con successo la berlinetta “Gransport”, su iniziativa di Guglielmo “Mimmo” Dei, carismatico e appassionato rivenditore Maserati a Roma e futuro fondatore della Scuderia Centro-Sud. In tutto furono soltanto 16 le A6G 2000 allestite tra il 1950 e il 1951: nove esemplari carrozzati da Pininfarina, più le cinque cabrio e la coupé di Pietro Frua. Ad Alfredo Vignale si deve invece lo stile sportivo dell’unica versione coupé bicolore.

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