Volkswagen Maggiolino, icona pop - Ruoteclassiche
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23/02/2025 | di Redazione Ruoteclassiche
Volkswagen Maggiolino, icona pop
Presentata nel 1938, diventa un bestseller a partire dagli anni Cinquanta. Decisivo è il successo negli Usa, dove si trasforma in cult. E' un sempreverde del collezionismo
23/02/2025 | di Redazione Ruoteclassiche

Strano destino quello del Volkswagen Maggiolino: voluto da uno dei dittatori più feroci della storia, è divenuto nel corso degli anni Sessanta, grazie al successo ottenuto Oltreoceano tra le generazioni più giovani, una delle icone della cultura hippie, per assurgere al ruolo di vettura cult. Non è un caso se è stata nominata tra le vetture più influenti e importanti del XX secolo. Per gli amanti delle storiche è sempre stata un punto di riferimento, un mix perfetto tra simpatia, affidabilità e raffinatezza meccanica; non bisogna dimenticare infatti che il Maggiolino è figlio di Ferdinand Porsche.

Gli albori. Quando venne progettato non esistevano ancora né uno stabilimento per produrla, né una rete di vendita, né un’organizzazione per l’assistenza: all’origine del Maggiolino c’è il fatto che la motorizzazione del popolo tedesco era uno dei tanti punti su cui si articolava il programma del “Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori”, il partito nazista: Hitler nel 1925, nel suo “Mein Kampf”, ne teorizzava la necessità per “spezzare l’egemonia automobilistica delle classi più abbienti”. Il dittatore tedesco aveva assegnato l’incarico di sviluppare tale modello alla RDA, l’associazione germanica dei costruttori di automobili che, dietro una piena collaborazione di facciata, celavano una fiera opposizione all’idea. Per questo motivo tutta la faccenda ebbe un avvio piuttosto letargico e acquistò brio solo dopo che, nel 1934, lo studio Porsche (un atelier di progettazione indipendente, che offriva i suoi servizi di design e sviluppo ai vari costruttori), inviò al Ministero dei Trasporti del Reich un promemoria nel quale il titolare, l’allora già famoso ingegner Ferdinand Porsche, presentava le proprie “Idee per il progetto e la costruzione dell’auto del popolo (Volkswagen in tedesco)”. Nella primavera del 1934, Porsche venne convocato da Hitler in persona, che l’incaricò di coordinare l’ambiziosa iniziativa.

Lo sviluppo del progetto. Il 22 giugno successivo, Porsche riunì in comitato i membri più autorevoli dell’associazione dei costruttori tedeschi di automobili (che, come abbiamo visto, forniva i fondi per gli studi) e furono concordate le caratteristiche fondamentali della Volkswagen: il nuovo veicolo doveva avere un interasse di 2,5 metri, una carreggiata di 1,2 metri, un motore capace di sviluppare circa 26 CV a un regime massimo di 3.500 giri/minuto; il peso non avrebbe dovuto superare i 650 kg, le sospensioni sarebbero state a quattro ruote indipendenti e la velocità massima avrebbe dovuto essere nell’ordine dei 100 km/h, con un consumo non superiore agli 8 litri per 100 km. I tempi per lo sviluppo del progetto erano stati valutati in 20 mesi. La sotterranea, ma decisa opposizione dell’industria automobilistica tedesca al piano del Führer, causò varie vicissitudini, ma finalmente, il 28 maggio 1937, prima che i collaudi finali dei prototipi fossero portati a termine, venne fondata a Berlino la GeZuVor, acronimo di Gesellschaft zur Vorbereitung der Deutschen Volkswagen mbh, quella che oggi conosciamo come Volkswagen. Il capitale iniziale, nella misura di 50 milioni di marchi tedeschi dell’epoca, sarebbe stato fornito dal sindacato germanico unico dei lavoratori (Daf, acronimo di Deutschen Arbeitsfront), che si sarebbe occupato anche della commercializzazione della vettura mediante uno schema basato su una raccolta di bollini (simile a quello oggi attuato per le raccolte di punti dei supermercati). Il 26 maggio 1938, festa dell’Ascensione, il modello definitivo della Volkswagen, battezzato KdF Wagen, venne svelato al popolo tedesco con una spettacolare cerimonia, contemporaneamente alla posa, nei pressi della cittadina di Fallersleben, della prima pietra dello “stabilimento della KdF” (acronimo di Kraft durch Freude, ovvero Lavoro con Gioia, l’organizzazione dopolavoristica del sindacato, che per la costruzione dello stabilimento avrebbe fornito gli ulteriori fondi necessari, 120 milioni di marchi).

Costava 990 marchi. La Volkswagen avrebbe avuto un prezzo di 990 marchi (costava 1,60 marchi al kg quando un chilo di burro costava 3,20 marchi). La consegna dei primi esemplari era prevista per il 1° settembre 1939, ma proprio quel giorno le forze armate tedesche invasero la Polonia, dando inizio alla Seconda guerra mondiale. All’epoca erano state costruite 210 Volkswagen, nessuna delle quali assemblata nelle officine KdF e nessuna delle quali destinata al popolo tedesco… La grande fabbrica, con il suo enorme potenziale, venne convertita per produrre armamenti e veicoli militari. Quanto al Maggiolino, dal 1939 al 1945 ne furono costruiti solo alcune centinaia di esemplari. Lo stabilimento Volkswagen, danneggiato dai bombardamenti, venne rimesso in funzione dopo la fine delle ostilità sotto il controllo dell’esercito britannico, inizialmente per la riparazione di veicoli militari alleati. Nel 1945 e per quasi tutto il 1946 la sorte della Volkswagen rimase incerta: c’era chi ne ipotizzava lo smantellamento, chi la riattivazione entro limiti precisi. La svolta avvenne nell’estate del 1947, soprattutto grazie all’opera del maggiore Ivan Hirst, l’ufficiale britannico incaricato di gestire la fabbrica Volkswagen per conto degli Alleati, che ottenne dapprima il permesso di vendere le VW ai membri delle forze armate britanniche di stanza in Germania, riuscendo poi a convincere i suoi superiori ad autorizzare la vendita delle vetture anche ai privati.

Finalmente il via libera. In occasione della Fiera di Hannover del 1947 (18 agosto-7 settembre) il Maggiolino iniziava la sua carriera di vettura civile. L’ultimo regalo del maggiore Hirst alla Volkswagen, prima di ottenere il meritato congedo, fu l’assunzione di Heinrich Nordhoff. Quest’ultimo, dirigente della General Motors tedesca epurato dagli americani per presunte collusioni con il partito nazista, fu assunto inizialmente come direttore dello stabilimento, ma Hirst rimase talmente impressionato dalla sua competenza che, al momento di tornare in patria, lo segnalò come possibile direttore generale: Nordhoff tenne le redini della Volkswagen dal 1° gennaio 1948 al 12 aprile 1968, quando rimase vittima di un attacco di cuore. In questo periodo la produzione annuale passò da 20 mila a 1,1 milioni. Nel 1972 vennero superati i 15 milioni di esemplari realizzati: il Maggiolino superava la Ford T come cifre produttive. Ma la corsa non si arrestava: nel 1981 furono raggiunti i 20 milioni e, nel 1992, ecco il traguardo dei 21 milioni. L’ultima vettura uscì dallo stabilimento VW messicano di Puebla il 30 luglio del 2003: si trattava del Maggiolino numero 21.529.464.

Quotazioni. Investire 42.500 euro in un Maggiolino potrebbe sembrare una follia. Invece no: è assolutamente giustificato se si tratta di un raro “Due vetrini” in condizioni di restauro maniacale (label A+ delle quotazioni di Ruoteclassiche). Se ci si imbatte invece in un esemplare restaurato tempo fa o conservato in buono stato (AB), la spesa massima da prevedere è di 28.400 euro. Di poco inferiori, circa il 25% (rispettivamente 33 e 22.000 euro), i successivi “Ovalino”. Per i restanti "6 Volt", i 12.500-14.000 euro sono i valori di riferimento per un esemplare in condizioni AB, 18.800-21.000 per un Maggiolino al top del ripristino o di conservazione.

TECNICA

Motore Cilindrata Potenza Velocità Trazione Dimensione Esemplari Prodotti Periodo di Produzione
posteriore, 4 cilindri boxer cm3 1131 CV 25 mm (LxLxH) 4070x1540x1500 posteriore mm (LxLxH) 4280x1540x1420 (prima serie) 21.529.464 1939-2003

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