Esattamente 54 anni fa a Maranello veniva presentata la Ferrari 250 GTO (ma non si chiamava ancora GTO), erede della 250 GT Berlinetta Competizione Passo Corto (o SWB) studiata per i nuovi regolamenti del Campionato Mondiale Marche, che privilegiarono le vetture della classe Gran Turismo a danno delle Sport. Alla conferenza era presente il primo esemplare, telaio 3223GT, ancora senza spoiler posteriore. Ecco un breve racconto delle vicende che portarono alla nascita della più desiderata di tutte le rosse.
Nel 1953 la Fédération Internationale de l’Automobile aveva istituito il Campionato del Mondo per vetture Sport dando il via a epiche e straordinarie sfide tra marchi, modelli e piloti. L’evoluzione motoristica, incessante e rapida tanto quanto la velocità del pensiero, in breve produsse automobili sempre più potenti e veloci, che mal si conciliavano con una “cultura” ancora ben lontana dal mettere la sicurezza al primo posto. In questo contesto avennero i tragici fatti di Le Mans nel ’55 e alla Mille Miglia del ’57. Quegli apocalittici avvenimenti portarono, per la stagione ’58, un primo drastico cambio di rotta e le spaventose vetture Sport erano state limitate a una cilindrata massima di 3 litri.
All’inizio degli anni 60, una nuova rivoluzione: prima (1960), l’istituzione della Coppa Vetture Gran Turismo dedicata alle auto di questa categoria (che negli anni precedenti, per manifesta inferiorità rispetto alle Sport, mai avrebbero potuto aspirare al titolo); quindi, nel 1962, attraverso la Commissione Sportiva Internazionale, la nascita del Campionato Internazionale Gran Turismo.
Si diede, così, ai modelli derivati dalla serie un’importanza regina e si relegarono le Sport a categoria inferiore (nel suo grembo, tuttavia, nacque e si sviluppò la Classe Prototipi, che riconquistò l’ambito ruolo di classe regina nel ’66).
La classe Gran Turismo aveva goduto di oltre una decade di tempo per svilupparsi e dare modo ai costruttori più forti di creare i suoi pezzi da novanta. Nata a Milano a fine degli anni 40 era presto diventato il terreno di scontro per tutte le categorie di piloti (dai principianti, ai gentleman ai professionisti) e per i principali costruttori di sportive. Le loro auto avevano una meccanica tipicamente da competizione e un comfort minimo per girare in città durante la settimana. Il weekend, con la sola apposizione del numero di gara, la GT si trasformava in auto da corsa.
IL DOMINIO FERRARI
Per tutti gli anni 50 la Ferrari aveva investito le proprie energie soprattutto con le vetture Sport e le monoposto, lasciando ai privati il compito di tenere alto il buon nome di Maranello con le Gran turismo. Nonostante l’agguerrita concorrenza di mostri sacri come le Aston Martin DB2 e DB 2/4, le Mercedes 300 SL Gullwing, le Maserati A6G, le Lancia Aurelia B20, le Fiat 8V e le Alfa Romeo 1900, la fortunata serie delle 250 si era rivelata pressoché ineguagliabile. Un risultato su tutti: la vittoria assoluta al Tour de France nel ’56, ’57, ’58 e ’59 con la 250 Berlinetta Competizione, poi opportunamente soprannominata 250 TDF.
La costante evoluzione del tipo 250 era giunta, nel 1960, all’affascinante Berlinetta Competizione Passo Corto, passata al rango di mito come SWB. Questo modello, carrozzeria in alluminio per le versioni da corsa, acciaio per quelle stradali era un’auto magica: bella e imbattibile (vincitrice con Moss del Tourist Trophy 1960 e 1961, trionfatrice al Tour de France ’60, ’61 e ’62, terza assoluta alla 24 Ore di Le Mans del ’61).
SI PENSA ALLA GTO
A Maranello, già nel 1960, divenne chiaro che presto la categoria Sport del Mondiale Marche sarebbe stata ridimensionata a favore della classe GT. Giotto Bizzarrini, estroso e instancabile progettista agli ordini di Enzo Ferrari, aveva ricevuto l’ordine di un corposo aggiornamento dell’SWB poiché all’orizzonte le nubi erano diventate minacciose: la Jaguar E-Type, la costante crescita dell’Abarth e delle Porsche 356 e l’Aston Martin DB4. I capitolati di progetto erano stati chiari: mantenere rigorosamente fissi i parametri di base e tra essi, naturalmente, il motore anteriore 12 cilindri a V di 3 litri.
I primi risultati erano sfociati nella berlinetta Sperimentale nota soprattutto (in realtà un vero nome non le fu mai dato) per il suo numero di telaio, 2643GT: motore derivato dall’unità Testa Rossa, carrozzeria di Pininfarina ripresa dalla Super America, telaio – modificato – della SWB. Iscritta alla 24 Ore di Le Mans (Baghetti/Tavano) del ’61 fu costretta al ritiro (una vettura sorella sviluppata a Maranello, telaio 2429GT, non fu mai iscritta ad alcuna gara).
Concepita come, essenzialmente, un’evoluzione della 250 SWB e dovendo Bizzarrini, del resto, ottenere il margine di miglioramento più elevato possibile, questi era maggiormente concentrato sull’aerodinamica per trasformare lo stile della Berlinetta Passo Corto, opera di Pininfarina, in una forma molto più efficiente e aerodinamica. Il risultato fu trovato in una livrea particolarmente innovativa: con muso basso e allungato, prese d’aria di piccole dimensioni per opporre poca resistenza, coda “tronca” e spoiler (già sperimentato sulla 2643GT a Le Mans). A Scaglietti il compito di trasformare quelle istruzioni tecniche di forma in una livrea in alluminio leggera filante e, perché no, affascinante.
24 FEBBRAIO 1962
A Maranello fece il suo debutto la prima Ferrari 250 GTO (denominazione, in realtà, all’epoca non ancora utilizzata). L’esemplare esposto, telaio 3223GT, non era ancora provvisto del vistoso spoiler posteriore.
Il telaio, Tipo 539/62, era un derivato dell’SWB, tubolare in acciaio. Il motore, Tipo 168C di derivazione Testa Rossa, era un classico 12 cilindri a V di 60°, con albero motore in acciaio su sette supporti, distribuzione a catena (2 alberi a camme per ogni fila di cilindri, 2 valvole per cilindro), alesaggio x corsa di 73 x 58,8 mm (2953 cm³ in totale), alimentazione mediante 6 carburatori Weber 38 DCN. La potenza finale era di circa 300 CV a oltre 7000 giri. Il motore era collegato a un cambio meccanico a 5 rapporti.
Al telaio erano agganciate sospensioni anteriori indipendenti a triangoli sovrapposti e posteriori ad assale rigido, con parallelogramma di Watt e molle a balestra. L’impianto frenante constava di quattro dischi e le ruote, da 15″, calzavano pneumatici Dunlop. Il passo, di 2400 mm, tradiva la stretta parentela con la 250 SWB.
Il dato più sensazionale, l’ultimo e più importante, era quello del peso: 880 kg a secco. Un valore assolutamente straordinario in rapporto alla potenza, che faceva della 250 GTO ben più di una Ferrari GT. Secondo una stessa leggendaria diceria circolante all’epoca, la produzione fu scrupolosamente tenuta su volumi molto contenuti per la difficoltà di trovare piloti capaci di governare un’auto del genere.
Giotto Bizzarrini non poté completare lo sviluppo della sua creatura. Nel ’61 lasciò la Ferrari con Carlo Chiti per fondare l’ATS. Il testimone passò a Mauro Forghieri e Willy Mairesse. Il 24 marzo la 250 GTO (nell’occasione l’esemplare con telaio 3387GT affidato alla Nart) esordì in gara alla 12 Ore di Sebring. Phil Hill e Olivier Gendebien conclusero al secondo posto assoluto dietro la Ferrari 250 TRI/61 s/n 0792TR della Scuderia Serenissima (Bonnier/Bianchi).
Alvise-Marco Seno