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19/04/2023 | di Gaetano Derosa
Specialisti – Enrico Redaelli, il mago dei carburatori
Da due generazioni la famiglia comense lavora sul ripristino dei carburatori, come pochi al mondo. La tradizione oggi prosegue con un approccio tecnico-scientifico, ma con ampie concessioni alla creatività
19/04/2023 | di Gaetano Derosa

Strano il destino del carburatore, una sorta di araba fenice. Si diceva, non tanto tempo fa, che fosse sul viale del tramonto, a causa delle normative sull’inquinamento, sempre più restrittive, soppiantato dall’iniezione elettronica. Invece, oggi, i grandi cultori della materia sono coloro che hanno fatto esperienza proprio coi sistemi più moderni per ripristinare gli oggetti antichi, con un approccio metodico e scientifico. E qualche concessione all’ingegno e alla creatività per correggere errori strutturali. Un lavoro simile a quello di un fine orologiaio in una parte così fondamentale dell’alimentazione del motore. Questa è anche l’esperienza di uno degli specialisti più acclamati del settore, Enrico Redaelli di Como, 54 anni, che nel suo piccolo laboratorio è in grado di compiere autentici miracoli e di far risorgere dalle proprie ceneri carburatori i cui componenti sono distrutti o non più recuperabili.

Esperienza coi tedeschi. “In effetti il nostro lavoro di micromeccanica è assimilabile a quello dei vecchi orologiai”, spiega Redaelli in pausa sigaretta, “anche se la mia formazione è stata di enorme aiuto quando ho ereditato il laboratorio di famiglia. Siamo due generazioni di carburatoristi, con un’attività iniziata alla fine della seconda guerra mondiale. Io ho studiato prima come disegnatore meccanico, poi ho intrapreso una scuola di elettrotecnica e ho fatto corsi dedicati all’automotive in Bosch, che è sempre stata all’avanguardia nel proprio settore. Nella seconda metà degli anni 80 iniziavano a diffondersi le ‘avveniristiche’ iniezioni Motronic. Ricordo ancora perfettamente la prima centralina che ho smontato per le verifiche tecniche, quella elettronica Eav della Fiat Argenta 120. Nel 1989 sono entrato nell’azienda di famiglia, carburatoristi puri. Papà Sandro con gli zii Alberto e Gianfranco sono sempre stati abituati a mangiare polenta e Weber, riparando anche l’irreparabile, grazie soprattutto all’importante esperienza accumulata nel mondo delle corse. Lì, in pochi minuti, devi ingegnarti e inventare qualcosa di valido per far ripartire la monoposto. Quando ho varcato per la prima volta la soglia dell’officina, mi hanno messo a lavorare con le iniezioni, i carburatori erano off limits. Mi sono guadagnato la loro fiducia con fatica e abnegazione, cercando di carpire i segreti, rimanendo anche due o tre ore dopo la chiusura per memorizzare le loro lavorazioni".

Gavetta nelle corse. "Poi mi hanno messo alla prova. La revisione del primo carburatore, quello della Fiat 500, e chi se lo scorda... Complicato, delicato, sembrava di scalare l’Everest senza ramponi. Quando hanno capito che potevo tornare utile al loro lavoro, allora papà e zii si sono aperti, facendomi diventare l’assistente privilegiato nelle loro operazioni a cuore aperto su componenti che, francamente, non avrei mai pensato si potessero recuperare”. Dal 1995 Enrico è rimasto solo. Oltre al restauro e alla manutenzione, anche una serie di esperienze internazionali, compreso un progetto nelle corse con la collaborazione di Mauro Forghieri. Sembra una scienza di assoluta precisione, quella dell’alimentazione coi carburatori, invece si scopre, con grande sorpresa, che siamo ancora alle prese col romanticismo puro dell’auto: quello che si ritrova in due esemplari apparentemente identici, ma in realtà uno diverso dall’altro; che si intuisce nell’estro e nella sensibilità di chi lavora; e che spicca nel buon Enrico, che è diventato uno dei più apprezzati del suo settore, grazie al suo formidabile orecchio".

Complicazioni progettuali. “Per le regolazioni ci vuole grande feeling, non basta aver effettuato un ripristino eccellente sul banco, se poi l’auto singhiozza e non ne vuole sapere di partire, come dovrebbe. Una delle sportive più difficili da sistemare, sotto questo profilo, è la Lancia Stratos in allestimento corsa. Quando parte a 6 cilindri, è una goduria, ma è impossibile spiegare quanto lavoro occorra, perché questo possa succedere. Puoi fare tutte le verifiche col vacuometro che vuoi, ma, se non hai l’orecchio, non riesci a sortire l’effetto voluto. Se dipendesse da me, proibirei le cuffie in sala prova, proprio perché il motore lo devi sentire in ogni sua sfaccettatura, dal miagolio del minimo fino al ruggito della massima potenza disponibile”. Ci sono poi delle nozioni tecniche che si imparano con l’esperienza, mentre lavori sul banco prova, questo è innegabile. “Penso al sistema di alimentazione dell’Aston Martin DB5”, prosegue il fine artigiano comense, “dove le regolazioni dei getti interni vanno in controtendenza con quanto si legge sui manuali. Ma, si sa, nel mio mestiere si incontrano spesso certe diavolerie. Attualmente sono alle prese con il ripristino di due carburatori SU: per usare un termine da orologiai, hanno un movimento progettualmente semplice ma, da sempre, con assemblaggi molto delicati, figuriamoci dopo quasi settant’anni di uso”.

Scienza e fantasia. Il restauro è scienza, ma anche fantasia. C’è davvero spazio a modifiche tecnico-creative per risolvere difetti di progettazione, che per anni sono sembrati senza soluzione. Esempio classico, i sei carburatori della Ferrari 275 GTB/4, i Weber 40DCN17. “L’errore all’origine della loro costruzione”, illustra Redaelli, “è quello del fissaggio al collettore, con tre bulloni (uno a destra e due a sinistra), che col tempo provocano una vera e propria imbarcata del piano di appoggio. Per ciascuno di questi, è necessario alesare i piani interni, maggiorare le farfalle, raddrizzare i coperchi, sostituire i prigionieri e i vari getti. Centinaia di componenti la cui estrazione a volte ti manda in crisi, perché si sbriciola tutto, con le filettature a rischio. Un’altra cosa da metabolizzare, se si fa il mio mestiere, è capire che oggi l’utenza è cambiata. Di norma le auto d’epoca si usano poco, quindi nella taratura finale va messo in conto che bisogna lavorare sull’erogazione ottimale ai bassi regimi, per renderle fruibili proprio da tutti”.

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