La Lancia Beta è stata la prima del marchio interamente nuova nata sotto l’egida di Fiat. Ma, mentre la berlina venne concepita sotto il vigile sguardo del centro stile dei nuovi “padroni”, per le versioni derivate i tecnici Lancia ebbero mano libera. Tant’è che, motori a parte, ci sono pochi elementi in comune tra le varie versioni della famiglia Beta. Per tradizione, Lancia ha sempre avuto una gamma completa e diversificata di carrozzerie: berline, coupé, cabriolet e sportive pure. Una tradizione rispettata anche con la Beta.
Mano libera, dicevamo, al punto che tra le derivate della Beta ci sono delle versioni decisamente particolari, come per esempio la HPE (High Performance Estate, cioè una familiare sportiva, a due porte col portellone) e la Montecarlo, che è una vera granturismo a due posti secchi e motore centrale, disponibile in versione coupé oppure spider (seppur sui generis). In realtà la genesi della Montecarlo non è propriamente Lancia: nasceva infatti come Fiat X1/20, ovvero una sorta di sorella maggiore della X1/9. Venne deciso all’ultimo momento di donarle il marchio Lancia e di inserirla nella famiglia delle Beta.
La crisi petrolifera. Siccome al momento del debutto, nel 1975, si era in piena crisi petrolifera, fu deciso che il motore non avrebbe dovuto essere esagerato (sebbene il telaio meritasse molto pepe in più, come dimostrato dalle plurivittoriose Montecarlo Turbo del campionato mondiale Endurance e, nei rally, dalle 037 che dalla Montecarlo prendevano origine). Dunque fu ritenuto sufficiente il classico bialbero di 2 litri da 120 CV, montato in posizione centrale e con trazione ovviamente posteriore, per fare della Montecarlo una granturismo coi fiocchi.
Nasceva pendolare. La genesi della Spider è diversa e, se possibile, ancora più sofferta: derivata dalla Beta Coupé, di cui conserva pressoché inalterata tutta la parte anteriore e la plancia, fu disegnata da Pininfarina, ma affidata per la produzione a Zagato (e questo mix ne accresce il fascino in chiave storica). Le scocche nascevano a Chivasso, nella fabbrica Lancia, come normali Coupé e poi venivano mandate a Terrazzano di Rho dove Zagato provvedeva a modificare le porte, il tetto, la parte posteriore e a curare l’allestimento. Infine, per l’assemblaggio finale e il montaggio della meccanica, le Beta Spider tornavano in Lancia. Questo complicato iter produttivo incise sul prezzo, che era decisamente più elevato rispetto a quello della Coupé (circa il 25%), e questo si riversò sui volumi di produzione (8.594 esemplari), pur raggiungendo un discreto successo anche negli Stati Uniti (dove è stata l’ultima Lancia veramente apprezzata).
Motori nel sangue. “È stato il regalo per il mio diciottesimo compleanno”. A parlare è Elia Dal Canton, al tempo del servizio studente di Economia all’università di Bologna, che la passione per i motori ce l’ha nel sangue, perché ereditata dal nonno Mario e dal padre Tiziano, noti imprenditori veneti. I garage di famiglia sono una vera e propria scuderia delle meraviglie: qualche Ferrari, due Lamborghini, due Porsche 911 GT3 RS (serie 991), più una GTS Cabriolet (“una delle pochissime con cambio manuale”, precisa con pignoleria Elia), una Morgan Aero 8, una Dodge Viper, una BMW M3 e una M4, una Mercedes-AMG SL 65 “Black Series”, un’Audi RS6 e, naturalmente, alcune storiche.
Il Maggiolino 53. Ma il cuore di Elia batte per la Montecarlo fin da quando era bambino, ossia da quando vide per la prima volta il film “Herbie al Rally di Montecarlo”, dove il celeberrimo Maggiolino col numero 53 sulla fiancata si innamorava perdutamente di una Lancia Scorpion (la versione americana della Beta Montecarlo, che in America non poteva usare quel nome perché già utilizzato all’epoca dalla Chevrolet). La passione per Herbie è stata “accontentata” dal padre di Elia, che ha fatto pellicolare una delle due sue Porsche GT3 RS con i colori e i numeri del protagonista dei film.
Dal film alla realtà. Quella per la Beta a motore centrale, invece, si è trasformata nel regalo di compleanno. Si tratta di una prima serie dell’agosto 1975, restaurata alla perfezione dal precedente proprietario, il carrozziere padovano Giuliano Tresoldi. La Beta Spider, invece, una 1600 prima serie del 1978, appartiene al momento dello shooting al sessantenne Giorgio Fornara, segretario comunale di Maggiora (NO). Fornara l’ha comprata circa cinque anni prima, e ha provveduto a un restauro integrale: carrozzeria portata a lamiera e riverniciata del Rosso Brighton originale, interni rifatti in similcuoio marrone, motore revisionato dalla A alla Z (“con costi che è meglio non precisare”, chiosa Fornara).
Le difficoltà di restauro consistono soprattutto nella quasi assoluta irreperibilità delle parti di ricambio esclusive della versione Spider Zagato. Fornara, che possiede anche una Fiat Barchetta, una Lancia Fulvia Coupé seconda serie e una NSU Prinz 4, ha puntato sulla Beta Spider perché è una delle poche cabriolet italiane a 4 posti degli anni 70. La utilizza almeno una volta alla settimana perché, “se sta ferma troppo tempo, poi il primo avviamento è molto difficoltoso, perché la pompa della benzina è meccanica e non elettrica”. È soddisfatto delle prestazioni del bialbero “millesei” da 100 CV “anche se consuma parecchio, rispetto alle auto di oggi”.
Sorelle a confronto. La Spider è comoda, resiste bene alle intemperie (grazie al tetto che, dopo i primi esemplari senza raccordo tra il tetto stesso e il rollbar, su questo è dotato di due rinforzi longitudinali, che migliorano nettamente anche la rigidità torsionale della scocca). Questa Beta è sportiva, ma non troppo. Il motore ha la grinta di 100 cavalli veri, ma la Spider non è fatta per andare forte, bensì per le passeggiate a cielo aperto e, se si vuole, con il lunotto in plastica ripiegato. Di ben altra pasta è fatta la Montecarlo: il suo due litri da 120 CV sembra molto più potente di quello che è nella realtà.
Come una supercar. Complice il peso ridotto (980 kg a vuoto) e la perfetta distribuzione dei pesi, la Montecarlo si guida come una supercar degli anni 70: seduti molto in basso, ben fasciati dai sedili avvolgenti (in similcuoio blu, in perfetto abbinamento con la scocca azzurro pastello, su questo esemplare come nuovo di fabbrica). Il volante è verticale, impone una guida distesa, a braccia allungate. Il motore sale di giri più velocemente rispetto al 1.600 della Spider. Probabilmente è soprattutto un’impressione data dal rombo, dovuto al motore posizionato proprio alle spalle del guidatore. In ogni caso, sopra i 4.000 giri mostra proprio un bel tiro. “Il difetto vero della Montecarlo è nei freni - assicura Elia Dal Canton - assolutamente sottodimensionati e che quindi perdono efficacia dopo pochi chilometri di guida sportiva. Tant’è che nella seconda serie sono stati maggiorati e c’è stata l’aggiunta del regolatore di pressione sul circuito posteriore”.
Non è una vera spider. Anche la Montecarlo ha il tetto asportabile, ma non si può definire una vera spider, aldilà della denominazione ufficiale. In sostanza è una berlinetta con il tettuccio asportabile. Di similitudini tra le due Beta non ce ne sono altre: diverso è lo stile, differente l’abitabilità, diametralmente opposto il target degli acquirenti. Anche per la Montecarlo la produzione è rimasta ben al di sotto dei 10.000 esemplari (esattamente ne furono costruite 7.595).