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Burt Reynolds, un sex symbol tutto auto e baffi

Vero e proprio sex symbol del grande schermo, Burt Reynolds si è spento ieri all’età di 82 anni in un ospedale della Florida, dov’era stato ricoverato in seguito a una crisi cardiaca. Ripercorriamone brevemente la carriera cinematografica con una carrellata delle auto protagoniste dei suoi film più celebri.

La star venuta dai campi di football. La sua fu una vita piena, hollywoodiana nel senso più classico, densa di eventi burrascosi e decisioni anche avventate: durante la sua carriera interpreta ruoli quasi sempre d’azione. Lui, che viene dal football americano, promettente halfback negli anni del campus alla Florida State University, si ritrova a fare l’attore a causa di un incidente d’auto che ne compromette la carriera sportiva. Ma anche perché ha il physique du rôle dell’action man, che tanto funziona anche al maschile nello star system americano (i suoi famosi baffi che contribuiranno a renderlo un sex symbol arriveranno molto più tardi). Come molti colleghi fa i primi passi sul piccolo schermo, interpretando tra gli anni 50 e la metà dei 60 diverse serie Tv, la più famosa delle quali “Hawk” (in 17 episodi) lo vede nella parte di un detective di origine indiana, irochese.

Un macho che piace ai migliori registi. Il personaggio del macho, con cui Reynolds ha convissuto, compiacente, tutta la vita (“Non mi vergogno di dire che ci sono ancora momenti in cui essere considerato una celebrità mi fa accapponare la pelle”, dichiarò lo scorso aprile in “The Last Movie Star”), inizia a catturare l’attenzione dei migliori registi di Hollywood: Peter Bogdanovich lo vuole in “Vecchia America”, Blake Edwards lo sceglie per “I miei problemi con le donne”. Poi, la sperimentazione di nuovi ruoli: nel 1977 Burt Reynolds era la star più desiderata e pagata di Hollywood, citato perfino da Bruce Springsteen nella canzone “Cadillac Ranch”. Per cinque anni, dal ’77 all’82, i suoi film sono in cima alla classifica del box office americano, un record ancora ineguagliato.

Gli inizi in canoa. E se un incidente d’auto lo indirizza alla carriera di attore, è la canoa a segnare il suo debutto importante sul grande schermo e trasformarlo in un divo: merito di “Un tranquillo weekend di paura”, pellicola del 1972 di John Borman, che si guadagna 3 nomination all’Oscar e 4 al Golden Globe. Due anni dopo, torna sui Campi di football, nel film “Quella sporca ultima meta”, di Robert Aldrich (1974), e lo fa a modo suo, da ex giocatore in piena crisi autolesionistica, mezzo ubriaco e deluso dalla vita, che viene convinto ad allenare la squadra di carcerati del penitenziario in cui si trova rinchiuso per aver distrutto la costosa vettura della sua fidanzata.

Una carriera consolidata sulle quattro ruote. Le automobili però sono nel suo destino: nel 1977 interpreta il ruolo di protagonista nel film “Smokey and the Bandit” (in cui è al volante di una Pontiac Firebird Trans-Am nera e oro del 1977), che per incassi si piazza alle spalle del solo “Star Wars”. Negli anni ottanta è star di un dittico che ottiene un discreto successo al botteghino anche in ragione del parco auto che porta sullo schermo (Aston Martin DB5, Chevrolet Corvette, Ferrari 308 GTS, Lamborghini Countach, Rolls Royce): “La corsa più pazza d’America” e la “Corsa più pazza d’America n. 2” (entrambi diretti da Dan Needham, rispettivamente nel 1981 e nel 1984) che trae spunto da una gara non ufficiale, per non dire illegale, che effettivamente si è disputata per quattro edizioni, negli Anni 70, su strade pubbliche da New York a Darien, nel Connecticut (tra i partecipanti anche il celebre pilota Dan Gurney, vincitore di una 24 Ore di le Mans con una Ferrari 365 Daytona). La sua “presenza scenica” nel ruolo di pilota è tale che quasi vent’anni dopo gli viene persino chiesto di prestare la voce in due videogiochi motoristici cult come “Grand Theft Auto: Vice City” e “Grand Theft Auto: Liberty City Story”.

L’Oscar negato e i “no” celebri. Sfiora anche un Oscar come attore non protagonista per “Boogie Nights” (diretto, nel 1997, da Paul Thomas Anderson), in cui veste i panni di un regista pornografico. Ma la puritana Hollywood non gli perdona una foto di nudo. Tra i suoi rifiuti celebri e i provini andati male, ci sono persino uno 007, il ruolo di Han Solo in Star Wars e quello di Garreth Breedlove in “Voglia di tenerezza”, andato poi a Jack Nicholson.

 

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