Un crossover Volkswagen trent’anni prima della T-Cross: se c’è una 4×4 ancora più profetica della Panda, è la Golf seconda serie Country. Si distingue per la trazione integrale Syncro, l’assetto rialzato e le barre protettive. Poco più di settemila costruite fra il 1990 e il ‘91.
Erano anni così, a trazione integrale. Metti la popolarità dei rally raid, la sportività del 4×4. Mettici anche l’assunzione a status symbol delle grosse fuoristrada americane e giapponesi, che avevano cominciato ad avventurarsi nei perigliosi e infidi centri storici delle città italiane. Di fatto, persino un’utilitaria come la Panda aveva iniziato a sparare sassolini dappertutto. Però erano anche anni in cui pensare a una Golf per l’offroad era sensato come andare a funghi in mocassini Sebago, quelli con il centesimo o il penny nella mascherina. Eppure la Golf Country non era spuntata del nulla. Nel ’90 erano già stati costruiti oltre sei milioni della seconda serie, che l’estate dell’anno successivo sarebbe giunta al termine del suo ciclo industriale. Per quanto razionali e ad angolo retto, persino i tedeschi si sentivano liberi di sperimentare su una macchina che aveva detto tutto, dopo aver introdotto il catalizzatore nell’85, il servosterzo e l’ABS nell’86 e la trazione integrale Syncro sulla GTI 16 valvole dell’88. Beh, forse aveva detto quasi tutto.
Dalla Montana alla Country. Nel 1989 la Volkswagen aveva esposto al Salone di Ginevra il prototipo Montana, una Golf tuttoterreno dotata della trazione integrale Syncro. Era stata messa a punto pochi anni prima dalla Steyr-Puch, la stessa azienda che aveva spedito la Panda sia nelle rimesse dei contadini, sia davanti alle ville dei radical-chic. Di tipo viscous traction, il Syncro della VW Golf distribuiva la coppia sulle quattro ruote motrici attraverso un circuito idraulico di liquido a viscosità variabile. La trazione privilegiava quasi sempre l’asse anteriore, per essere ripartita al cinquanta per cento sul posteriore quando i sensori rilevavano uno slittamento sensibile. Fatto sta che la risposta alla Montana fu così entusiasta, che a Wolfsburg diedero semaforo verde per qualcosa di più di una carrozzeria con la decal dedicata. La Golf Country aveva le carte in regola per le strade bianche e un divertente rotolamento nel fango.
Crossover ante litteram. Il motore 1.8 da 98 cv e 141 Nm di coppia era assecondato dal cambio manuale a 5 marce con rapporti accorciati. Garantiva più corpo quando il gioco si faceva duro, pera quanto limitasse la velocità massima a 164 kmh. D’altra parte, chi ci andava a centosessanta nei boschi se non si chiamava Rohrl? A lui e ai più sportivi era comunque offerta la possibilità della Wolfsburg Edition, dotata del motore 16 valvole della GTI seconda serie. La Country era immediatamente riconoscibile per la vistosa griglia paracolpi sulla mascherina, arricchita dai fari di profondità e fendinebbia; per l’assetto rialzato da 12 a 17,8 cm e la slitta protettiva sotto al motore. Lo spettacolo, un po’ straniante, era assicurato dalla ruota di scorta montata sul portellone posteriore, come per i fuoristrada veri. La Country fu costruita in 7.735 esemplari fino al 1991. La formula non fu più riproposta nelle versioni successive della Golf. Il fattore rarità ha reso la Country una piccola leggenda tra i fans e i collezionisti. Trovarla non è troppo difficile, ma attenzione alla manutenzione del sistema Syncro, allo stato delle sospensioni e del pavimento. Le quotazioni di Ruoteclassiche indicano una valutazione che oscilla fra i cinque, seimila euro per un esemplare in condizioni accettabili, fino a salire ai diecimila dell’olimpo A+. L’effetto-wow? Garantito.