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Fiat 127 e Ford Fiesta, quando il design funziona

Praticamente gemelle, ma a qualche anno di distanza: la Fiat 127 nasce nell’aprile del 1971, la Ford Fiesta nel maggio del 1976. Eppure, sembrano proprie sorelline siamesi. Vi spieghiamo il perché.

Il debutto della 127 segna una tappa fondamentale nella storia della Casa torinese: dopo la 600 (1955), la Nuova 500 (1957) e la 850 (1964), tutte con motore e trazione posteriori, arriva la prima utilitaria con un 4 cilindri trasversale e trazione anteriore, schema che garantisce la massima abitabilità ed è quindi il più razionale per una vettura di piccole dimensioni.

In fondo, si tratta dello stesso “credo” che aveva portato Alec Issigonis nel 1959 a concretizzare la Mini. Per la prima volta s’investono in un’utilitaria più capitali che per una vettura di lusso. La parola d’ordine in Fiat è “ottimizzare”, cioè ottenere il massimo con la minima spesa. Anche il bagagliaio è molto più ampio rispetto alle antenate (365 dm³). L’interno punta sulla razionalità, sia nello sfruttamento dello spazio (l’abitabilità per 4 persone è decisamente buona e rende l’auto ideale per le necessità di una normale famiglia), sia nell’allestimento interno.

Lo stile della 127 si deve all’estro di Pio Manzù (figlio dello scultore Giacomo) e di Rodolfo Bonetto (nipote del pilota Felice); Manzù non farà però in tempo a vedere il compimento del proprio lavoro, perché vittima di un incidente mortale in auto proprio mentre si sta recando a Torino per la presentazione ufficiale della maquette. Su strada, inoltre, la “centoventisette” ha un ottimo comportamento: la tenuta di strada elevata, le prestazioni brillanti (oltre 140 km/h di velocità massima) e i consumi contenuti. Di buon livello anche il cambio a 4 marce e l’impianto frenante, con dischi anteriori e a tamburi posteriori. Il successo del modello, sia da parte del pubblico sia da parte della stampa specializzata è immediato; ciliegina sulla torta, la conquista dell’ambito premio “Auto dell’anno”.

La Fiesta segna invece l’autorevole debutto del colosso americano nel segmento delle moderne utilitarie e al contempo il ritorno dell’Ovale blu alla trazione anteriore, dopo la parentesi non felice della 12M. Anche in questo caso non si badò a spese: ben 740 i milioni di dollari investiti nel progetto. Il nome in codice del progetto fu Bobcat, il quale prevedeva anche la costruzione di nuovi impianti di produzione e la progettazione di tecnologie moderne, come la trazione anteriore. Il primo passo fu cercare di costruire un impianto di assemblaggio ad Almussafes (vicino Valencia). Nel frattempo, ingegneri e designer lavorarono sulla vettura, il cui primo prototipo era già pronto nel 1970.

In particolare vari centri stile americani ed europei, per esempio quelli di Dunton in Gran Bretagna, di Colonia in Germania e la Ghia di Torino, crearono delle maquette basandosi su dati forniti dagli ingegneri. Questi ultimi vennero esposti in gran segreto a Losanna (Svizzera) a clienti di vari mercati europei, in modo tale da testare l’opinione pubblica. Il prototipo scelto, dal quale discende l’aspetto esteriore della prima serie fu denominato Wolf e realizzato dalla Ghia su disegno di Tom Tjaarda e Paolo Martin, il quale dichiarò anni dopo che, per poter accelerare i tempi di sviluppo, il prototipo era stato realizzato sul pianale di una 127, dopo aver asportato l’intera carrozzeria.

Ovviamente l’esemplare della Fiat era stato acquistato in gran segreto. Ecco spiegato perché la Fiesta è così simile all’utilitaria della Casa torinese. La prima serie utilizzava all’anteriore lo schema MacPherson, brevettato nel 1949 dall’ingegner Earl S. MacPherson, in seguito divenuto vice presidente della Ford. Tra le dotazioni anche le cinture di sicurezza, il lunotto termico e il tetto apribile come optional. Al momento del lancio erano disponibili le versioni “base” (957 cm³, 45 CV), “L” (957 cm³, 45 CV e 1117 cm³, 53 CV), “Ghia” (957 cm³, 45 CV, 1117 cm³, 53 CV e 1297 cm³ con 65 CV) e la versione sportiva “S” (1117 cm³ da 53 CV).

Gaetano Derosa

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