Mozia e le saline di Marsala, Trapani ed Erice, le spiagge verso San Vito e la riserva dello Zingaro. E per concludere, gran finale al tempio di Segesta.
E’ davvero straordinaria la terza parte del nostro percorso nella Sicilia occidentale, durato in tutto dodici giorni. Un tempo giusto, per poter sostare nei luoghi cercando di coglierne, almeno in parte, lo spirito. E non attraversandoli correndo, a colpi di telefonino, come è diventa un po’ la regola del turismo globale e digitale.
Slow drive, allora, con la nostra Alfa Spider, anche se l’assenza di traffico, i rettilinei di campagna e i cavalli ancor giovani sotto il cofano ogni tanto ci hanno fatto andare tutt’altro che slow. Copriremo l’itinerario di 220 chilometri in quattro giorni, dormendo a Marsala, Erice e a Scopello, con bagni di mare quotidiani nelle ore più tiepide e quelli di cultura e natura nel resto del giorno.
Lo Stagnone. La laguna a nord di Marsala, detta lo Stagnone e quasi di fronte all’arcipelago delle Egadi, è la prima, immancabile tappa. Guidare lungo l’argine con la luce del mattino, le vasche delle saline multicolori, a seconda della maturazione e le Egadi sullo sfondo è uno spettacolo. Alcuni bacini hanno ancora il mulino a vento, visione ormai rara e fiabesca. Nelle saline non ci si può bagnare, ma lo si può fare alla Torre di San Teodoro, proprio in punta alla laguna. E’ una spiaggia unica nel suo genere, perché il fondale bassissimo (non più di 50 centimetri) continua con un istmo lungo mezzo chilometro fino all’Isola Grande. Si può camminare sulle acque fino all’altra sponda, ai ruderi di una tonnara abbandonata, che forse diventerà un resort a sette stelle. Oppure nuotare nell’acqua chiarissima, dato il fondo basso e sabbioso, in direzione del mare aperto.
Gli scavi di Mozia. Oltre a tutto questo c’è il lato “colto” dello Stagnone. Un altro isolotto, leggermente più a sud, raggiungibile con le barche turistiche in pochi minuti. Qui sorgeva Mozia, avamposto dei Fenici fin dai tempi remoti: fiorita tra il l’ottavo e il quinto secolo fu distrutta dai Siracusani intorno al 400 a.C. Ma proprio alla scuola greca (in questo caso, quella di Selinunte) appartiene il gioiello dell’isola, la celebre statua del giovinetto – forse un auriga – che per bellezza rivaleggia con i marmi di Olimpia, Delfi e del Museo dell’Acropoli. E’ custodita – e speriamo che l’idea di spostarla a Palermo faccia naufragio – nella casa-museo Whitaker, in nome dell’archeologo inglese che dedicò la vita agli scavi di Mozia.
La visita è speciale perché la collezione è come la lasciò lo studioso. Tutto intorno le tracce della città millenaria, santauri in riva al mare, le mura e la necropoli, perse tra vigneti in miniatura.
Le spiagge del trapanese. Facendo strada per Trapani, la spiaggia più bella è quella di Marausa, appena a nord dell’aeroporto di Birgi. Se è l’ora giusta vi godrete qualche passaggio a bassa quota e il rombo degli Eurofighter del 37° Stormo.
Ancora più bella e solitaria, tra Marsala e Mazara del Vallo, è quella di Capo Feto. Ricordatevene se invece vi spingerete a sud.
Trapani merita assolutamente una sosta, indipendentemente dalla gettonatissima Erice che la domina da una rocca a 750 metri d’altezza. Parcheggiate ai giardini di Villa Margherita e perdetevi nel reticolo del centro, alternando il cammino costiero e le strade interne. L’anima di Trapani è ancora lì, l’architettura in massima parte salva, sul lungo lembo di terra che infine si slancia nel mare, coi moli antichi, le torri, il Villino Nasi. Imperdibile anche il Museo Pepoli vi troverete presepi di corallo e madreperla, gli ori e gli smalti degli ex voto, camei sorprendenti, paramenti liturgici raffinatissimi e una splendida selezione di maioliche. A cena, ebbri di tanta bellezza, abbandonatevi alla bontà del cuscus di pesce.
Indicazioni culinarie. Di Erice – così unica, amata e visitata - lasciamo la parola alla guida che avrete in borsa. La salita sulle pendici è uno dei tracciati più divertenti e panoramici del nostro viaggio e l’Alfa Spider – scattante, incollata alla strada e soprattutto aperta - ha dato il meglio di sé. Visitate il borgo con calma, vicoli, chiese ed affacci, compresa la Fondazione Majorana, tanto per ripassare un po’ di fisica gloriosa. Prima di partire, tassativo, fate incetta di pasta di mandorle. Anche questa è un primato mondiale; la migliore pare sia quella della pasticceria San Carlo seguita a ruota da Maria Grammatico.
Dai faraglioni alla Riserva dello Zingaro. Il programma diventa a questo punto più naturalistico e balneare. Prima la spiaggia di Màcari, otto chilometri a sud di San Vito. Poi si taglia per Scopello, rinomatissima coi suoi piccoli faraglioni e il borgo arroccato. In ottobre le tariffe degli hotel scendono, e ci si può permettere un balcone a picco sulla scogliera come quello di Torre Bennistra, a un prezzo quasi popolare. La mitica Tonnara, invece resta per pochi intimi, da prenotarsi un anno per l’altro. Prezzo base 400 euro.
La cosa più bella di Scopello, però, è la riserva naturale dello Zingaro, che comincia poco più a nord. Questo tratto di costa scoscesa, percorribile su sentieri in quota o litoranei, è un piccolo viaggio nel tempo, che rende l’idea di cosa fosse il mare della Sicilia prima della grande cementificazione. Solo sette chilometri di arenile, purtroppo, ma bastano a cominciare il sogno.
La riserva, tra l’altro, ha una storia eroica, perché negli anni ’80 stava per sparire anche lei nelle mani dei palazzinari. La strada era già pronta a metà, i solerti amministratori avevano già dato i permessi, c’era anche una galleria. Fu un moto di orgoglio di siciliani assennati che bloccò i lavori e portò, infine, ad istituire l’oasi protetta.
I sapori autentici della Sicilia. Si riparte. Nei pressi di Alcamo ci fermiamo a saccheggiare una gastronomia autentica. Trancio di anellini al forno e arancine a più sapori. Idea grandiosa, migliore di quella di fermarci in una piazzola dell’autostrada Mazara-Palermo per gustare lì il ricco cestino. Guardate la fotografia della gallery: un’immagine vale più di mille parole e riassume in modo lancinante uno dei dilemmi del nostro titolo. Sono cose che francamente sembrano inconcepibili, nel 2021. E invece succedono appena girato l’angolo, con tendenza al peggio, perché l’avvio della raccolta differenziata, senza luoghi dove differenziare, è un invito a trasgredire.
Il viaggio volge al termine, ma non prima di un’altra full immersion nella bellezza classica: ci vogliono il teatro e il tempio di Segesta per farci dimenticare la disavventura della piazzola-discarica. Chiudiamo al meglio, sperando in meglio, tra i tesori e i dilemmi di sempre. Forza, Sicilia!