All'asta a Parigi la Dino Berlinetta Sperimentale di Pininfarina - Ruoteclassiche
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05/09/2016 | di Alvise-Marco Seno
All’asta a Parigi la Dino Berlinetta Sperimentale di Pininfarina
Presentata al Salone di Parigi del '65 e donata successivamente da Sergio Pininfarina al Musée de l’Automobile du Le Mans, fu il primo respiro di un modello Dino progettato e costruito a Maranello in affiancamento all'interpretazione della Fiat. Disegno di Aldo Brovarone, meccanica 206 S. Nel 2013 è stata esposta allo stand della Pininfarina al Salone di Ginevra. Sarà all'asta da Artcurial il prossimo febbraio 2017 al Rétromobile di Parigi.
05/09/2016 | di Alvise-Marco Seno

Presentata al Salone di Parigi del '65 e donata successivamente da Sergio Pininfarina al Musée de l’Automobile du Le Mans, fu il primo respiro di un modello Dino progettato e costruito a Maranello in affiancamento all'interpretazione della Fiat. Disegno di Aldo Brovarone, meccanica 206 S. Nel 2013 è stata esposta allo stand della Pininfarina al Salone di Ginevra. Sarà all'asta da Artcurial il prossimo febbraio 2017 al Rétromobile di Parigi.

Con largo anticipo, la casa d'aste Artcurial annuncia la presenza di una vettura straordinaria tra i lotti che saranno messi all'incanto il prossimo febbraio 2017 nei giorni del salone Rétromobile a Parigi. Si tratta della Dino Berlinetta Sperimentale del 1965, un prototipo di stile realizzato dalla Pininfarina e presentato al Salone di Parigi di quell'anno. Questo eccezionale esemplare unico oggi fa parte della collezione dell'Automobile Club de l'Ouest. Ecco la sua storia.

L'EREDITÀ DI DINO FERRARI
Alfredo "Dino" Ferrari
era tragicamente mancato il 30 giugno del 1956, strappato giovanissimo alla vita e all'affetto di un genitore devoto che covava in lui grandiose speranze. Quel giovane talentuoso, seriamente minato nel fisico, aveva dimostrato la passione e l'impegno che si deve a un "Ferrari", condizione certamente ancora più dolorosa per un padre che nella sua carriera aveva imparato soprattutto a vincere e ora si trovava nell'impossibilità di salvare l'amato erede. Alfredino aveva infatti iniziato lo sviluppo di un nuovo motore per le competizioni e in questo determinante fu l'aiuto di un genio come Vittorio Jano, padre dell'Alfa Romeo P2 da corsa e della 6C 1500. Il giovane Ferrari lasciò l'opera incompiuta ma il padre Enzo, in uno slancio di amore filiale straordinario e struggente, per continuare a sentirlo vivo lo portò profondamente dentro le sue macchine affidando a Jano il proseguimento e la conclusione dello sviluppo di quel motore.

Nel giro di poco tempo al banco iniziò a girare un piccolo 6 cilindri a V 1.5 con il nome "Dino" impresso sulla fusione delle testate, inclinate tra loro a 65°. Il responso fu molto positivo: 180 CV a 9000 giri e una concezione innovativa che avrebbe consentito un facile aumento di cilindrata verso lay out sempre più potenti.

Quell'idea primordiale dimostrò presto tutto il suo valore, restituendo alla realtà un motore molto competitivo, i cui ottimi risultati sarebbero giunti fino all'apice della 246 F1: con cilindrata portata a 2,5 litri, la monoposto guidata da Mike Hawthorn vinse il Mondiale di F1 del 1958. Ma andò oltre: nelle mani di Carlo Chiti e Mauro Forghieri il V6 fu sviluppato ulteriormente per andare ad equipaggiare la 156 F1 di Phil Hill, campione del Mondo nell'annata '61.

LA FIA DI TRAVERSO
I progetti per un futuro sempre più radioso all'indirizzo del progetto "Dino" subì un repentino stop all'indomani dell'infelice conclusione della trattativa tra il Drake e la Ford per la cessione dell'azienda al gigante americano. La Fia, durante le annate '64 e '65, probabilmente a causa delle forti pressioni di Detroit, mise in campo una serie di iniziative particolarmente penalizzanti per Maranello, culminanti con l'emanazione delle direttive per la stagione F2 del '67: ammesse solo vetture con motore 6 cilindri derivato da un'auto omologata in almeno 500 esemplari. Di fronte all'impossibilità, per un'azienda molto piccola, di organizzarsi per affrontare l'obbiettivo Enzo Ferrari dovette correre ai ripari.

L'INTERVENTO DELLA FIAT
Cruciale fu, in questa situazione, l'interessamento della Fiat: la piccola azienda del Cavallino Rampante stava cercando un partner per la costruzione di 500 automobili e il gigante torinese poteva rappresentare l'alleato ideale. Il 1 marzo del 1965 un comunicato congiunto tra Maranello e Torino annunciò l'accordo Fiat - Sefac Ferrari e dava inizio a un programma per lo sviluppo di un modello sportivo Fiat con motore V6 Dino, la Spider 2000 prodotta a Torino, e il prelievo di un certo quantitativo di motori da destinare alla F2.

LA DINO BERLINETTA SPECIALE
L'accordo permise a Ferrari di raggiungere un livello di tranquillità adeguato per dedicarsi al motore Dino in vista dell'impiego sulle monoposto. Già il 25 aprile '65, infatti, scese in pista a Monza la Dino 166 P in occasione della 1000 Chilometri ma, contemporaneamente, le energie facenti capo a Maranello erano al lavoro anche per una vettura stradale.

Nel mese di maggio 1965 alla Pininfarina erano già pronti i disegni e i dati tecnici per il primo prototipo della futura Dino GT costruita a Maranello. Un giovane ma molto volitivo Sergio Pininfarina si era lanciato nella non facile impresa di convincere Enzo Ferrari del successo che avrebbe ottenuto un modello a motore centrale. Per vincere le resistenze del Drake, il figlio di "Pinin" aveva portato avanti in autonomia la sua battaglia e, ottenuto un telaio 206 S da corsa, numero di serie 0840, aveva affidato ad Aldo Brovarone il compito di immaginare una prima soluzione stilistica per una piccola GT con motore V6 posteriore costruita alla corte del Commendatore.

Pronta il 10 settembre 1965, la Dino Berlinetta Speciale fu presentata "ufficiosamente" nello stand della Pininfarina al Salone di Parigi nel mese di ottobre come modello di stile, a pochissimi mesi dalla firma dell'accordo tra Fiat e Ferrari e ancora ben lontani dalla concretizzazione del progetto Fiat Dino.

La vettura, verniciata in colore rosso, presentava una linea molto bassa e filante, arricchita da una serie di soluzioni inedite: coda tronca con feritoie centrali per lo sfogo dell'aria calda, cofano anteriore incassato negli altissimi parafanghi anteriori, lunotto concavo, musetto con grande carenatura finale in perspex per coprire i quattro fari e concludere la linea aerodinamica della carrozzeria.

Riscosse da subito un grande entusiasmo, alimentando da più parti la convinzione che, in considerazione della stretta collaborazione tra le due aziende, Ferrari fosse sul punto di presentare 500 Dino derivate dal prototipo. Per il risultato finale, la 206 GT, sarebbero invece trascorsi altri due anni.

Esposta nel 2013 al Salone di Ginevra, accanto al prototipo Sergio, così fu descritta dal compianto Andrea Pininfarina: "Spesso mio Padre l’ha messa in cima alle sue preferenze, tra le decine e decine di capolavori disegnati per Ferrari. La Dino fu anche l’ultima Ferrari su cui lavorò con mio nonno Pinin, scomparso nel 1966. E perché rappresenta la quintessenza del design Pininfarina: linee morbide, pure, sensuali, e attenzione all’aerodinamica".

Alvise-Marco Seno

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