Al volante, però, poteva essere un pericolo. Se oggi fosse ancora fra noi, Lennon avrebbe 80 anni e non guiderebbe patente da un pezzo. Come gli altri Fab Four, dalla sua prima auto da neopatentato (una Ferrari 330GT) in poi passò da una fuoriserie all’altra.
Dei Fab Four, si sa che il vero “car guy” era George Harrison, un super appassionato che si intratteneva volentieri con i campioni della Formula 1 – scrisse “Faster” nel 1979 dedicandola a Ronnie Peterson. Un altro che, nel suo piccolo, non scherzava in fatto di auto fu John Lennon, ucciso l’8 dicembre di 40 anni fa per mano di Mark Chapman. Il musicista di Liverpool, da anni neworkese d’adozione, non guidava più da un pezzo. La grandezza dell’artista non era minimamente comparabile a quella dell’autista, visto che da anni si faceva scarrozzare da uno chauffeur. Più che una prerogativa da celebrità, si trattava di una misura cautelare: l’ultima volta che John Lennon si era messo al volante per una gita in Scozia, finirono tutti all’ospedale.
Se proprio deve succedere… Quel giorno fu memorabile. Era il 1° luglio del 1969, tre mesi prima della pubblicazione dell’ultimo album dei Beatles, “Abbey Road”; e 19 giorni prima che Neil Armstrong mettesse piede sulla Luna – un giretto tutto sommato più tranquillo. Lennon era in vacanza con Yoko Ono incinta, la piccola Kyoko e il figlio primogenito Julian sulle Highlands scozzesi. Avevano deciso di avventurarsi per le stradine di montagna su una piccola Austin Maxi. Il Beatle non era un asso del volante: era cresciuto girando per Liverpool a piedi o sui bus e aveva preso la patente solo cinque anni prima. Aveva fama di guidatore miope e distratto e quel giorno finì nel fosso con la sua Austin, probabilmente rapito dal panorama. Tutti e quattro gli occupanti furono ricoverati nel più vicino ospedale dove a Lennon furono dati 17 punti in faccia per i tagli (Yoko se la cavò con 14). Quello che se la vide peggio fu il piccolo Julian, che fu curato per lo shock. Con il suo inossidabile humour da classe operaia, Lennon disse alla stampa che “se proprio devi avere un incidente in macchina, tanto vale che succeda sulle Highlands”.
Favorisca patente e Ferrari. Ecco perché da allora non si era messo più al volante. Il giorno in cui morì, nel suo garage c’era la sua ultima auto, una Mercedes 300TD station wagon W123 di colore beige. Comoda e sicura quanto bastava per sé e per la famiglia. John Lennon aveva sempre avuto un debole per le Mercedes, specie le saloon come la 600, scelta anche da Harrison e Ringo Starr. Era uno da “baby you con drive my car”, saltava con disinvoltura da una Mini Minor personalizzata a una Iso Fidia, il secondo esemplare della quattro porte lusso che vide e volle all’istante durante la visita al Salone di Earls Court a Londra nel 1967. Quella che fece (e tuttora provoca) più sensazione fu la sua prima auto da neopatentato: niente di meno che una Ferrari 330GT 2+2 blu elettrico con gli alzavetri di conseguenza. Andò che nel 1965 i Beatles avevano appena spedito in classifica “Ticket To Ride” e la notizia di un Lennon fresco di patente aveva fatto il giro del Regno Unito. Immediatamente la strada davanti diventò meta di pellegrinaggio di concessionari gli che proposero di tutto, dalle Maserati alle Aston Martin, più l’immancabile Jaguar E-Type. Se non proprio un pilota, il Beatle era un esteta e la scelta cadde sulla Ferrari 330GT Coupé del ’64, pagata diecimila dollari di allora. Il doppio fanale della prima serie era pericolosamente somigliante a quello di una Ami 8 non era piaciuto molto alla clientela. Cosa che aveva spinto Enzo Ferrari, che pure amava mostrarsi al volante della 330GT 2+2, a tornare a un frontale più tradizionale nella seconda serie. Lennon guidò e amò la sua Ferrari per tre anni e più di trentamila chilometri, prima di rivenderla e passare ai pezzi grossi e colorati.
La Rolls di Sgt Pepper. Non c’è bisogno di dire che l’auto più famosa di John Lennon fu la Rolls-Royce Phantom V del 1965. Non era sempre stata psichedelica: il giorno in cui a lui e agli altri Beatles si schiusero i cancelli di Buckingham Palace per essere nominati baronetti, la Rolls si muoveva – un po’ sinistramente - nel Valentine Black originale. La verniciatura a tinte forti giunse un paio d’anni più tardi, dopo che la carrozzeria si rovinò durante le riprese di “Come vinsi la guerra” di Richard Lester, interpretato dal Beatle fuori ordinanza. Lennon decise di riverniciala ispirandosi alle grafiche di quello che è considerato l’album rock più fondamentale di tutti i tempi, “Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. Per dare un tono alla sua Rolls, Lennon si ispirò alle carrozze degli zingari della Romania che aveva visto da qualche parte. Quindi molto giallo, molti fiori, molto tutto. Fra le modifiche agli interni si aggiunsero un piccolo letto al posto dei sedili posteriori, un frigobar, un televisore Sony da dieci pollici e il radiotelefono. Una volta spedita negli States, la Rolls fece il giro di celebrità passando dai Rolling Stones ai Moody Blues, da Bob Dylan a Elton John. Nel 1978 il cantante la donò a un museo canadese in cambio di un'agevolazione sulle tasse, ma la sua sarebbe eternamente rimasta “la Rolls-Royce di John Lennon”.
Un eccentrico miliardario. Così si era definito, un po’ per scherzo e un po’ no, John Lennon. Lo prova anche un’altra venerabile inglese passata fra le sue mani, la Bentley S1 del 1956. Non era proprio la sua, tecnicamente apparteneva a tutti e quattro i Beatls, ma ha una storia divertente. Prima apparteneva all’imprenditore della moda inglse John Crittle, che la fece decorare secondo l’emergente stile optical psichedelico al collettivo d’arte BEV (Binder, Edwards & Vaughn). Crittle si divertiva a scarrozzarci i suoi amici musicisti Brian Jones, Jimi Hendrix, Roger Daltrey e anche Lennon per Londra. Quando i Beatles avevano più milioni di sterline che idee di come spenderli, decisero di rilevare la sua azienda, la Dandie Fashions. Lennon si ricordò della fantastica Bentley e automaticamente passò nelle mani della casa discografica Apple. Sul certificato di proprietà originale reca ancora la scritta a biro rossa “tinta: multicolore”.