Con 108 vittorie di classe e 19 assolute, la Porsche è il costruttore di maggior successo nella storia quasi centenaria della 24 Ore. A partire da oggi il Porsche Museum celebra il trionfo del 1970 esibendo la 917 KH originale di Larrousse / Kauhsen.
Ferrari contro Ford, Ford contro Ferrari: un dualismo in rima che contrassegna la 24 Ore di Le Mans per tutti gli anni Sessanta. Mentre Dearborn e Maranello scrivono pagine epiche del motorsport, a Stoccarda si lavora in silenzio per scalare il podio. E al giro di boa del decennio, puntuale, la Casa tedesca fa la doccia di Champagne al pubblico della Sarthe. Il 14 giugno ricorre il 50° anniversario della prima 24 Ore targata Porsche. Dopo aver percorso 4.607,11 chilometri in 343 giri, la 917 KH (kurzheck, codacorta) da 580 cavalli iscritta con il numero 23 fra le Sport 5 litri dal team Porsche Salzburg si aggiudica finalmente la vittoria assoluta. Oltretutto in un’edizione, la 38esima, particolarmente dura: appena sette vetture tagliano il traguardo. È anche la prima senza la tradizionale partenza “Le Mans”: i piloti prendono il via schierati a spina di pesce, ma a cinture allacciate. Il trionfo Porsche è totale: alle spalle dei piloti Hans Herrmann e Richard Attwood, il podio è completato da Gerard Larrousse e Willy Kauhsen su Porsche 917 LH (langheck, codalunga) Martini Racing; e da Rudi Lins ed Helmut Marko nella 908/02. Nelle altre classi, il dominio è confermato dalle 908, 911S e 914/6 che si aggiudicano rispettivamente le classi Gruppo 6 fino a 3 litri, Gran Turismo 2.5 litri e Gran Turismo 2 litri. Teufel!
Una lunga rincorsa. Che inizia fin dal debutto a Le Mans del 1951 quando la 356 SL consegue la prima di una lunga serie di vittorie di classe. Da quel momento, la Casa di Zuffenhausen si presenta ogni anno: Le Mans è una vetrina unica al mondo. Si accontenta delle classi inferiori, finché nel 1969 diventa miglior attrice non protagonista sfiorando la vittoria assoluta per 75 metri. Un secondo solo, in 24 ore! Quella sconfitta serve a preparare la corsa del ’70 trasformando la sfortuna - e gli errori - in lezioni da mettere in pratica. “Fu una gara dominata dalla pioggia e dovevamo continuamente cambiare le gomme per adattarci alla situazione del momento”, ricorda il tedesco Herrmann. “Non era l’usura a obbligarci al pit stop, ma il tempo capriccioso. Penso che la vittoria arrivò grazie alla bella armonia raggiunta all’interno della squadra. Per correre una 24 Ore con solo due piloti non è un fattore marginale”. Durante quella 24 Ore infernale, quasi tutti i concorrenti si ritirano. Uno stillicidio, anzi una strage di Ferrari 512 S coda lunga e 312 P, Alfa Romeo T33/3, Corvette, Lola T70, Chevron B16 e numerose altre Porsche, fra le quali la coppia di Gulf 917K ufficiali e l’altra 917L, con la quale Vic Elford aveva vinto il duello della pole position davanti a Nino Vaccarella. “Le Mans è un posto dove può andare tutto bene, o tutto male. A quei tempi, la 24 Ore richiedeva più uno stile di guida di durata, che non da corsa vera e propria”, racconta Richard Attwood. “Vincere lì su una Porsche insieme a Hans fu assolutamente inaspettato, perché la nostra macchina non era progettata per reggere la velocità di punta”.
L’aerodinamica che vince. Nel 1970 la Porsche si affida a John Wyer e alla Scuderia Gulf anche come partner dello sviluppo, per rimediare agli scarsi risultati della 917 nell’anno precedente. Durante le prove a Zeltweg è proprio un ingegnere di Wyer, John Horsmann, ad avere l’idea di sacrificare un po’ della resistenza all’aria per incrementare la deportanza. Modella a mano una nuova coda più corta, composta da fogli di alluminio rivettati, sulla quale il team lavora fino all’ultimissimo momento. La nuova aerodinamica della KH si rivela una carta vincente. “Fin dall’inizio la 917 si rivelò un'auto da corsa molto difficile”, conferma Herrmann. “Era lei che portava noi, anziché il contrario. Diventò vincente quando riuscimmo a gestirne e ottimizzarne l’aerodinamica”. Il resto è storia. Al ritorno a Stoccarda, l’impresa della Porsche è celebrata con una parata che culmina nella piazza principale della città. “La vittoria ha acquisito ulteriore significato negli anni. Chi avrebbe pensato che la Marca avrebbe conquistato un numero record di successi a Le Mans”, prosegue Attwood. In effetti, con 108 vittorie di classe e 19 assolute in una serie ininterrotta di partecipazioni dal 1951 a oggi, la Porsche è il costruttore di maggior successo nella storia quasi centenaria del circuito della Sarthe. In più, il pilota inglese confessa come “allora ignoravo di essere impegnato in un’altra sfida, tutta personale. Durante la corsa non riuscivo a mangiare nulla, potevo solo bere del latte per tenermi su. Solo dopo scoprii che avevo gli orecchioni…”.
Titoli di coda. Ormai quarantenne, Herrmann aveva promesso alla moglie di ritirarsi immediatamente in caso di vittoria a Le Mans, che nel ’69 aveva soltanto sfiorato. Fu di parola e chiuse alla grande una buona carriera di stradista e in Formula 1 durata 16 anni. Invece Attwood sfiorerà la doppietta nel ’71 giungendo secondo sempre su 917 KH. Da una curiosità all’altra: nell’edizione del 1970 un’altra Porsche 908, ufficialmente non in gara e guidata da Jonathan Williams e Herbert Linge, prese la via dei box dopo 282 giri. Era la Spyder iscritta dalla Solar Productions di Steve McQueen ed equipaggiata di tre cineprese da 35mm, che filmò le sequenze di gara del film “Le 24 Ore di Le Mans”. A ricordo di quel fantastico fine settimana francese, il 13 e 14 giugno il Porsche Museum di Stoccarda esibirà la 917 KH originale rossa con il numero 23.