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Su e giù per l’Oltrepò con una Fiat 1500 a legna

Ci siamo già occupati della tempesta che sconvolse l’Italia e il mondo ottanta anni fa.  L’ingresso nella seconda Guerra Mondiale, che costò la vita  – fa sempre bene ricordarlo – a mezzo milione di Italiani e lasciò il Paese in macerie. In quella puntata (sempre disponibile in rete) avevamo narrato il divieto di circolazione a tutte le auto private, che durò fino alla Liberazione.

Oggi, quasi avessimo un potente telescopio, puntiamo nell’occhio del ciclone, ingrandiamo i particolari, e raccontiamo una bella storia personale. Quella di come il signor Attilio Carosio, meccanico dell’Oltrepò Pavese, continuò a viaggiare sulla sua Fiat 1500, e a dare una mano ai concittadini, grazie a una bella cugina di Milano e alla legna del suo bosco.

Dal principio. Cominciamo ponendoci qualche domanda. Quanti chilometri fa una Fiat 1500 con un chilo di legna? E quanti cavalli restano ad un motore a benzina, che di colpo deve andare a “gasogeno”? E ancora, quanto vale l’unica automobile della Valle Staffora che funziona, nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale? Queste domande e tutte le risposte stanno nella fotografia che la famiglia Carosio – tre generazioni di meccanici a Varzi e collezionisti di una Prinz  color nocciola – ci ha spedito dalla  punta estrema dell’Oltrepò Pavese. Dall’avamposto sulla strada che sale attraverso il Penice e il Brallo e conduce al mare. Racconta l’ultimo atto di una storia che comincia coi muli e coi carri, che portavano mercanzie di ogni tipo ai paesini di collina, da Alessandria a Bobbio, e tornavano carichi di carbone da vendere in città.

La storia di Attilio. Lasciati i muli a zii e fratelli, Attilio Carosio (1906-2003) va a studiare da apprendista meccanico a Pavia. Impara in fretta, al servizio militare è autista di un generale, nel ’35 apre nel centro di Varzi la prima officina. Solo che di auto, in valle Staffora, al tempo ne circolano pochine, i trattori sono sconosciuti, al più si guasta un torpedone. E proprio con una colonna di autocarri e corriere Attilio parte per l’Eritrea, assoldato da una ditta di Casteggio che ha vinto l’appalto per le Colonie. Carosio non lo sa, ma in fondo è fortunato: i camion che si arrampicano sulle carrettiere dell’Africa Orientale si rompono continuamente, e per questo lui fa buoni affari. Ma la salute un po’ lo tradisce, e all’inizio del 1939 torna a casa: giusto in tempo per evitare la disfatta della “quarta sponda” e, forse peggio, i campi di prigionia inglesi.

L’auto per la comunità. Qui finalmente arriva l’automobile del destino, la 1500 comprata di seconda mano, con le cambiali. E’ una delle pochissime vetture che circolano nel 1939 a Varzi, dove il tempo sembra fermarsi, mentre mezza Europa è già in guerra e il Duce aspetta il suo momento. “Qualche migliaio di morti – aveva detto nella sua miopia arrogante – per sedersi al tavolo della pace”. La macchina di Carosio porta a spasso, sulle strade bianche,  il dottore, il veterinario (all’epoca quasi più importante), il notaio, la levatrice. Poi, con il tempo della ragione, finisce anche la benzina. Il petrolio manca alle navi della Regia Marina, figuriamoci se ce n’è per il meccanico di Varzi. Ma lui ha una cugina a Milano che lavora alla Pirelli, conoscono un ingegnere che sa anche motori. E qui sbuca il magico disegnino, lo schema di trasformazione a gasogeno che già alimenta molti autobus nelle grandi città e comincia a vedersi sulle automobili, anche se è uno strazio di equilibrio e di estetica.

C’era una volta il gasogeno. Si tratta di costruire una caldaia che brucia carbonella, poi la miscela con acqua, e il composto (micidiale se inalato) di monossido di carbonio, CO2 e ossigeno viene spruzzato nei cilindri, da un aggeggio che sostituisce il carburatore.  L’Attilio torna a Varzi col progetto, ha tutti gli attrezzi che servono, compresi l’unico tornio della valle. E si fa la sua 1500 a “gas povero”, con la quale il medico può continuare ad accorrere, il prete a benedire, il veterinario a salvare le bestie e, di fatto, le famiglie. Gli ultimi viaggi la bella Fiat dal cofano calante, che ispirò la Topolino di Giacosa, li fa tra Varzi e Milano.

Un periodo terribile. Bisogna  portare i valori e le carte della Banca Giacobone a quella d’Italia.  Non sono viaggi facili, perché sulle colline dell’Oltrepò si consumano alcune delle pagine più drammatiche della Resistenza, i rastrellamenti tedeschi sono feroci, il “Pippo” (i caccia notturni della RAF) ha cominciato a mitragliare e sui lati della statale dei Giovi si incrociano anche cadaveri. Ma Attilio Carosio la scampa, dopo la guerra la 1500 tornerà a digerire benzina, venduta e trasformata, come tante veterane, in furgoncino. Il figlio Renzo è pronto a entrare in ditta e poi arriverà un altro Attilio che, ancora oggi, tutte le mattine, tira su la “clèr” sotto la scritta Autofficina Carosio.

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