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10 alettoni indimenticabili

Di colpo, fra gli anni Sessanta e gli Ottanta ogni supercar degna di questo nome doveva sfoggiare un’ala posteriore. Dal semplice spoiler, alle costruzioni ardite che dovevano tenere schiacciata a terra la macchina e far volare i poster appesi al muro.

Cos’è il senso della velocità? È un accento leggero posto sulla coda dell’auto. Per accrescere il carico aerodinamico e tenerla schiacciata sull’asfalto, lasciando volare la sola immaginazione. Di colpo, fra gli anni Sessanta e gli Ottanta ci si accorse di non poter fare a meno dell’alettone. Simbolo e dichiarazione esplicita di prestazioni, al pari delle prese d’aria NACA, delle bande longitudinali sulla carrozzeria e dei cerchi in lega. Dal punto di vista privilegiato della modernità, ecco, oggi possiamo ammettere che non tutti gli alettoni che vedrete sfilare sul nostro piccolo red carpet avevano una funzione aerodinamica essenziale. C’è un marchio che è arrivata a montare lo spoiler sulla station wagon. Quei modelli sarebbero rimasti nella storia, con un lato B normale?

Dodge Daytona ‘69 “Aero Warrior”. La Chaparral stupì il mondo con il suo rivoluzionario maxi alettone, così alto da poter essere scambiato per un ponteggio. E le Big Three si adeguarono immediatamente. La muscle car più stilosa della stagione 1969-70 è senz’altro la Dodge Charger Daytona. Ne furono costruite 503 per omologarle nel campionato NASCAR. Non si campava di soli effetti speciali: sotto il cofano scalmanava un V8 Magnum 440 da 375 cv, il più grosso a disposizione della Dodge. Ogni esemplare era fornito con alettone, prese d’aria ed estrattori a parte, ma avreste avuto dubbi?

Lamborghini Countach LP5000S. Anche sulla Countach l’alettone non era obbligatorio. Farne a meno non sarebbe considerato uno sfregio imperdonabile alla storia del design, però aumenta il coefficiente extraterrestre del design di Gandini/Bertone. A supporto dell’alettone, rispetto alla serie precedente, il V12 due valvole da 4.754 cc dei 321 esemplari di LP5000S godeva di maggior coppia e riprese più pronte, grazie ai rapporti allungati. È stata anche la prima Countach a montare l’accensione elettronica. Diciamolo, ai 290 orari di velocità massima dichiarata un po’ di carichino dietro ci vuole. O no? Countach!

Porsche 911 Carrera RS 2.7. Con il suo bravo “bürzel”, il codino d’anatra spiumato e puntato all’insù, per strada la Carrera Rennsport l’avrebbe riconosciuta anche mia nonna. E poi a chiarire ogni dubbio c’erano le decals adesive sulla fiancata a richiamare la Carrera Panamericana, con i cerchi in lega in tinta. Spinta dai 210 cv del classico 6 cilindri boxer, la RS 2.7 guadagnava non poco anche dalla carozzeria alleggerita, con cofani e portiere in alluminio e lamiere non strutturali assottigliate. La riduzione di peso 980 kg, unita all’allestimento piuttosto spartano degli interni, contribuiva a farne una delle auto serie più scattose dei suoi tempi. Nel 1973 ne furono approntati otto esemplari da competizione denominati 911 Carrera RSR.

Ferrari F40. Basta la sola vista posteriore, per riconoscere l’ultima Ferrari vistata e approvata personalmente dal Drake. Quando fu presentata al centro civico di Maranello il 21 luglio del 1987, non l’aveva vista ancora nessuno, a parte i più stretti collaboratori del Commendatore. L’iter di sviluppo e sperimentazione era stato avvolto da insolita segretezza all’interno dell’azienda. La sorpresa per un simile salto stilistico fu quasi uno shock, come racconta Leonardo Fioravanti: “Se dovessi indicare una ragione su tutte del successo della F40, direi proprio la sua linea che riesce a trasmettere immediatamente l’eccezionalità dei contenuti tecnici: velocità, leggerezza, prestazionalità”. La F40 è stata a lungo ineguagliata e resta fra le Ferrari più collezionabili.

BMW M1 Procar. Dei 399 esemplari stradali di M1 realizzati fra il 1979 e l’81, quello nella foto è uno dei più significativi. Per l’alettone e le appendici aerodinamiche adottati sulla versione da corsa Pro Car; e per il suo primo proprietario. Il nome Franz Reuther dirà poco o niente. Lo pseudonimo Frank Farian farà scattare qualche relé fra i cultori della disco anni Settanta. Però l’immagine del cantante e produttore dei Boney M se la ricordano tutti! Ebbene sì, è stata la sua. E per farla ballare meglio anche fuori dalla pista, ci ha fatto montare anche un magnifico set di cerchi in lega da 17”. Daddy Cool!

Ford Escort RS Cosworth. Poi c’erano quelli che esageravano e di ali ne montavano addirittura due, sovrapposte. Anche se nel 1992 ne furono costruite 2.500 per l’omologazione al Campionato del mondo Rally Gruppo A, la Escort RS resta un’auto stradale. E ci ricorda quant’erano felicemente disinibiti quegli anni. Il pedigree sportivo parla di otto gare e quattro podi nel Mondiale costruttori fino al 1996, quindi non una dominatrice. Ma guardatela: con quelle minigonne e gli spoiler, non le fischiereste dietro per strada? In ogni caso, era lei a fischiare al pubblico che si ammassava sugli sterrati, con la turbina Garrett aggiunta alla meccanica Sierra RS Cosworth. Che volete farci, era il bello dei motori con le teste blu.

Mercedes-Benz 190E 2.5-16 Evolution II. Allora più di ora, bar e vialoni di periferia by night a parte, l’ultima berlina sulla quale era più probabile vedere un alettone era una Mercedes. Per fortuna, c’era AMG. La 190E 2.5-16 Evolution II fu presentata al Salone di Ginevra prima che la stagione di corse del 1990 aprisse le danze. Il quattro cilindri in linea 16 valvole era stato vitaminizzato in combutta con la Cosworth e fornito di Power Pack AMG. Il kit aerodinamico la rendeva una delle berline sportive più emozionanti sulla piazza. Siccome Mercedes era pur sempre Mercedes, l’unico colore ammesso sulla carrozzeria è stato l’elegante Blauschwarz, un nero-blu scuro e inappuntabile come l’inchiostro della stilografica.

Subaru Impreza WRX. Da “Sega GT” a “Need for Speed”, in tanti abbiamo combinato di tutto e di peggio sulla Impreza WRX. Dici Subaru, pensi subito a lei. Nata nel ’92 per sostituire la più grossa e pesante Legacy nei rally, la Impreza ha fatto rapidamente breccia nell’immaginazione collettiva scontrandosi con le varie Delta Integrale, Lancer Evo e le ire della Polstrada. Alettone a parte, l’aspetto curioso della Impreza è che Subaru l’aveva pensata come berlina da grandi numeri, con una gamma piuttosto ampia di motorizzazioni. Al milleotto da 101 cv si aggiunsero presto il 1.6 e il 2.0 aspirati, fino al due litri turbo della WRX montato anche sulla memorabile versione wagon. Il Sacro Graal è la serie limitata e numerata WWW (World Wide Winner) del 1998, un’instant classic gelosamente collezionata.

Toyota Supra Turbo MKIV. Quella della Supra è una lunga storia, ma se vogliamo parlare di youngtimer alettonate, facciamo subito riferimento alla quarta generazione del 1993. In Giappone la ridisegnarono completamente secondo gli stilemi di fluidità di quell’epoca e marcò subito la differenza sul resto delle Toyota. Oltre che per lo spoiler aerospaziale, fornito in optional, la Supra Turbo si ricorda per la forma della griglia, i proiettori trapezoidali e gli estrattori esagerati, tutti elementi rubacchiati con garbo alla F40. Sotto le lamiere, il sei in linea da tre litri lavora con il pugno di ferro nel guanto di velluto delle due turbine sequenziali.

BMW 3.0 CSL Batmobile. L’abbiamo lasciata per ultima perché è la più famosa, anzi la più mitologica. Non c’è neppure il bisogno di spiegare perché l’avevano soprannominata così, questa berlina da supereroi. BMW l’aveva introdotta nel 1972 come serie di omologazione basata sulla coupé sportiva 3.0 CS/CSi. L’aggiunta della L (leicht, leggera) alla sigla è dovuta alla scocca realizzata in acciaio più sottile, accompagnata da porte e cofani in alluminio, con il perspex al posto delle vetrature laterali. Fra prese d’aria, estrattori, nervature, spoiler e pinne varie, è un’auto che non ci si stanca mai di guardare. Curiosamente, BMW non consegnava la Batmobile completa dello spettacolare alettone posteriore. L’installazione era lasciata al proprietario, perché non era omologato per le strade tedesche. Però a Gotham sì.

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