Nella Collezione del Museo Storico Alfa Romeo ha fatto il nido la Eagle, la “targa” disegnata da Aldo Brovarone nel ‘75 per succedere alla Spider. Sulle linee tese spicca il roll bar richiesto per il mercato americano, ma non se ne farà nulla: è troppo poco Alfa.
Per avere un’idea di cos’era l’Alfa Romeo negli anni Settanta, delle sue dimensioni, del vortice di idee e progetti che si agitavano ad Arese tra uno sciopero e una camarilla politica, è sufficiente aspettare la fine del lockdown. Quindi prendere un appuntamento per visitare la Collezione del Museo Storico . In quello che è qualcosa di più del deposito in subordine all’esposizione ufficiale, sono affiancati prototipi, auto da corsa, concept, soluzioni sperimentali che non hanno mai avuto l’onore della produzione di serie. Alcuni, avanti. A volte di anni. Forse troppo avanti, come le gemelle diverse Alfetta Spider e Eagle, simili nella linea a cuneo avveniristica, più possibili di una Carabo. A solleticare maggiormente l’effetto “sliding doors”, il “chissà se”, forse è proprio la Eagle, la concept convertibile affidata dalla Pininfarina alle matite del maestro Aldo Brovarone. Obiettivo: trovare un’erede alla Spider. Che andava benissimo, ma che negli Stati Uniti pativa l’assenza del roll bar di sicurezza, richiesto da una legislazione sulla sicurezza stradale sempre più esigente.
Futuristica, non impossibile. Brovarone, che era Brovarone, risolse guardando al futuro e in antitesi al romanticismo curvilineo della Duetto. Il roll bar ad ala inversa d’ispirazione aeronautica integrava il lunotto posteriore, come la Porsche 914 o la Fiat X1/9 di Bertone. Guardando bene, soprattutto di profilo, ci si vedeva qualcosa della 33 TT 12, il prototipo campione del mondo Marche proprio nell’anno della Eagle. La “Targa” con il quadrifoglio verde era clamorosamente lontano dallo stile Alfa. Soprattutto negli interni, da film di fantascienza. Il volante a calice era ricoperto di morbido velluto blu, come il resto degli interni con sedili dedicati. Addio a quadranti e lancette sulla strumentazione, interamente digitale. Se non altro, il motore era tutt’altro che alieno: il solido 4 cilindri in linea bialbero da 122 cv dell’Alfetta GT 1800 garantiva abbastanza accelerazione, se non per vincere l’orbita terrestre, almeno per divertirsi. Senza contare che, grazie allo studio di penetrazione aerodinamica e il peso limitato a una tonnellata, la Eagle era accreditata di ghermire i duecento orari. Niente male per una convertibile!
Un’aquila per gli americani. L’onomastica conta, anche declinata al condizionale: la lingua inglese era un chiaro riferimento di marketing agli Stati Uniti, che del rapace hanno fatto un simbolo nazionale – ricordate come si chiamava la Formula 1 di Dan Gurney? Quando nel Centro direzionale di Arese fu il momento di prendere una decisione, però, si preferì continuare con la produzione del Duetto. Magari affidandolo proprio a Pininfarina per una rinfrescatina nell’aerodinamica. La storia e i numeri dicono che fu la scelta giusta, ma un’Alfa così non si sarebbe più vista.